Devo alla piccola Carla, di tre anni, lo spunto per
questo post . Per Carla la “manna” non è il cibo che Dio fece piovere
dal cielo per sfamare gli Ebrei durante la loro fuga dall’Egitto ma, più
semplicemente, la condensazione fra le parole “mamma” e “nonna”.
Questo piccolo e grazioso neologismo è come un pesciolino colorato che nasconde
un aculeo tra le pinne dorsali e quindi, se maneggiato male, può pungere. Sono
stati scritti molti libri sulla famiglia e sulle funzioni genitoriali, eppure
non mi è mai capitato di vedere questo nome simbolo di un confine poco chiaro
fra mamma e nonna che potrebbe essere un segno dei tempi, dal momento che le
“manne” mi sembrano in aumento, sia perché le nonne sono sempre più arzille e
in grado di contrastare l’aumento dell’età media della maternità, sia perché le
mamme si sentono sempre più in difficoltà, per i contratti di lavoro sempre più
precari e per una cultura e un welfare, che non sono ancora in grado di
proteggere un periodo particolare e fondamentale della vita come la gravidanza
e il puerperio.
I mariti
possono essere di grande aiuto, se ne trovano di meravigliosi, ma spesso
frustrati per le difficoltà lavorative e, nonostante i considerevoli
passi avanti rispetto a qualche decennio fa, a volte faticano ad abbandonare i vecchi
stereotipi sul ruolo maschile/femminile. Vi è inoltre un’organizzazione
ancora insufficiente intorno alla maternità, basta pensare alla difficoltà di
utilizzare gli asili nido pubblici e all’esiguità di momenti aggregativi e di
sostegno psicologico. In queste condizioni la nonna, non importa se madre o
suocera, può diventare una vera manna dal cielo. La manna biblica è una
bella metafora per parlare di un sussidio emergenziale: sono in fuga, stanco,
affamato, spaventato, accetto tutto, ma quello che è buono nell’emergenza
potrebbe trasformarsi in un problema a lungo andare. Visto che il linguaggio è
lo specchio simbolico del nostro mondo interno, alla confusione semantica può
corrispondere una confusione di ruoli da parte degli adulti e di vissuti da
parte dei bambini, per questo le mamme vere possono provare un senso di
rabbiosa insofferenza sentendo la parola “manna”, che può
diventare il sintomo di un rapporto non libero, ma subìto per necessità, un po’
come l’amore nel disturbo di panico.
Le giovani
madri, sottoposte allo stress della gravidanza, del parto, del puerperio, alle
richieste di questo piccolo e meraviglioso esserino che non si capisce tanto
bene cosa voglia, possono sentirsi incompetenti, fragili, bisognose,
proprio nel momento che si richiede loro di diventare accudenti più che
richiedenti. E allora si è costretti a fare patti con il “diavolo”,
questa nonna meravigliosa, che tratta mio figlio meglio di quanto abbia
trattato il suo- cioè me-, suscita sentimenti contrastanti perché deve
paradossalmente coniugare una richiesta di aiuto con il timore, più o meno
fondato, di un’intrusione o, ancor peggio, di un’esautorazione. Lo stato
emotivo delle neomamme può diventare allora un crogiuolo di sentimenti
contrastanti: riconoscenza, rabbia, gelosia. Le nonne in genere tendono a
sminuire e a negare, ma segretamente pensano di avere una funzione salvifica che
svela l’arcano di un pensiero non detto: “Ti faccio vedere io come si fa ad
essere una buona mamma, non vorrei che tu mi rovinassi questo prezioso esserino
che appartiene a te quanto a me, non importa che questo l’abbia imparato
sulla propria pelle.
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