martedì 18 dicembre 2012

Il cervello poliglotta e l'apprendimento delle lingue

La comprensione e l’espressione di due o più lingue utilizza aree e meccanismi celebrali funzionalmente separati e indipendenti, alcuni dei quali maturano già prima dei sei anni di età

Si calcola che circa il 50 per cento della popolazione mondiale utilizzi un’altra lingua oltre a quella materna; eppure la capacità di parlare due o più lingue è stata a lungo considerata un’abilità particolare, posseduta da ristrette, e in genere colte, cerchie di individui. Questa valutazione può dipendere da almeno due ragioni. In primo luogo dal fatto che, intermini evoluzionistici, le lingue sono fenomeni che, mentre creano omogeneità di comunicazione all’interno dello stesso gruppo, fanno sorgere barriere tra gruppi diversi. Dunque, mentre la conoscenza di lingue «prestigiose» (peresempio, l’italiano nel Rinascimento, il francese nell’Ottocento o l’inglese al giorno d’oggi) è motivo di vanto, la conoscenza di una lingua ritenuta meno «importante» o parlata in comunità ostili può addirittura essere negata. In secondo luogo, i vari codici di comunicazione linguistica sono sempre stati classificati in categorie arbitrarie (lingua,dialetto, idioma, parlata e così via) che hanno a che vedere più con fattori sociopolitici che linguistici. Per usare le parole del celebre linguista Noam Chomsky, la lingua differisce dal dialetto unicamente per il fatto di «avere alle spalle una bandiera e un esercito». Una tassonomia su base empirica suggerisce di considerare come bilingui i soggetti che comprendono e parlano due lingue – ma anche due dialetti o una lingua e un dialetto – poliglotti coloro che sono in grado di parlare combinazioni di almeno tre lingue o dialetti. Questi soggetti sono in grado di mettere in atto una netta separazione fra i differenti sistemi  linguistici da loro padroneggiati. Per esempio, un bilingue sardo-italiano può esprimersi adeguatamente solo in italiano in certe occasioni, e solo in sardo in altre, senza mescolare queste due lingue. In questo articolo, la principaledistinzione viene fatta tra coloro che parlano una sola lingua e i bilingui, assimilando a questi ultimi i poliglotti per ragioni di semplicità.

Una classe della scuola elementare islamica istituita a Brent, a nord di Londra, per venire incontro alle richieste della comunità locale. Si calcola che almeno metà della popolazione mondiale debba utilizzare una seconda lingua oltre a quella materna, ma pare che solo un apprendimento molto precoce consente di padroneggiarla completamente

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Effetto della microstimolazione corticale . una tecnica che viene attuata nel corso di interventi di neurochirurgia in cui il paziente rimane vigile sulla capacità di denominare sia nella lingua madre (l’olandese) sia nella secondalingua nota (l’inglese) figure di oggetti. La stimolazione dei siti indicati dai cerchi pieni inibiva la denominazionein entrambe le lingue, mentre quella dei siti indicati con I e con O inibiva rispettivamente l’inglese o l’olandese.Stimolando i siti indicati con i cerchi vuoti non si otteneva alcun effetto inibitorio nei confronti di nessuna delle due lingue.

Un esperimento condotto da Stanislas Dehaene e collaboratori su soggetti sani con conoscenza scolastica di una seconda lingua ha evidenziato una diversa localizzazione dell’attivazione emisferica durante l’ascolto di storie nella lingua materna (il francese) e in quella appresa (l’inglese) in tre soggetti (indicati con un simbolo di forma ecolore diversi). L’ascolto in francese attiva l’emisfero sinistro in tutti i soggetti e il destro in due soggetti su tre.Durante l’ascolto dell’inglese, un soggetto (quadrati rossi) presenta attività unicamente nell’emisfero destro. La grandezza dei simboli riflette l’ampiezza dei loci di attivazione.

Aree cerebrali coinvolte nell’ apprendimento delle lingue

È noto che nell’uomo alcune parti del lobo temporale (area di Wernicke) e frontale (area di Broca) dell’emisfero sinistro rivestono fondamentale importanza per la comprensione e la produzione del linguaggio. Va tuttavia precisato che il linguaggio – che è una funzione cognitiva tra le più complesse – non è legato a una singola struttura, ma si basa sull’integrità di una complessa rete nervosa con importanti nodi cortico-sottocorticali.
L’emisfero di destra, per esempio, è molto importante per gli aspetti emozionali e pragmatici del linguaggio, e forse anche per alcuni aspetti squisitamente linguistici delle lingue apprese successivamente alla lingua madre. Per chi studia le basi neurali del bilinguismo è fondamentale conoscere se la rappresentazione della lingua madre avviene tramite vie e processi che differiscono da quelli usati per la rappresentazione della seconda o di eventuali altre lingue. Informazioni rilevanti a questo proposito sono state fornite dalla tecnica di microstimolazione diretta del parenchima cerebrale nel corso di interventi neurochirurgici in cui l’ apertura del cranio viene effettuata in anestesia locale. Questa tecnica, utilizzata da un noto neurochirurgo di Seattle, George A. Ojemann, è resa possibile dal fatto che la corteccia cerebrale non possiede recettori dolorifici. Il fatto che i pazienti siano svegli e collaboranti nel corso dell’intervento consente di monitorare gli effetti di microstimolazioni erogate in un determinato punto del cervello su un compito come la
produzione di parole, che il paziente deve eseguire nel corso della stimolazione. Un tale monitoraggio è fondamentale per stabilire l’importanza della struttura esaminata e decidere come intervenire su di essa. Nei soggetti bilingui, le microstimolazioni hanno consentito di identificare nella corteccia cerebrale dell’ emisfero di sinistra centri comuni per le due lingue e centri la cui stimolazione inibisce in maniera differenziale solo una lingua (si veda la figura in alto nella pagina precedente). L’esistenza di una sovrapposizione parziale dei substrati nervosi per LI ed L2 e del ruolo dell’ emisfero destro nella comprensione delle lingue è confermata da indagini di neuroanatomia funzionale condotte in soggetti bilingui senza patologie cerebrali. Stanislas Dehaene e collaboratori del Laboratorio di psico- linguistica del CNRS, il Consiglio nazionale delle ricerche francese, hanno esan1inato mediante risonanza magnetica funzionale alcuni soggetti di madre lingua francese che avevano acquisito una discreta conoscenza scolastica dell’inglese (L2) dopo i setteanni di età. È risultato che praticamente in tutti i soggetti l’ascolto di un radconto in lingua materna induce una forte attivazione dell’emisfero sinistro e una certa attivazione dell’emisfero destro. L’ascolto di un racconto in lingua inglese ha invece suscitato risposte molto variabili nei vari soggetti, in alcuni dei quali è stata osservata solo l’attivazione dell’emisfero destro (si veda la figura in basso nella pagina precedente). In un altro rilevante studio di risonanza magnetica funzionale, Karl H. S. Kim e collaboratori, della Cornell University di New York, hanno esan1inato in soggetti multilingui – suddivisi in due gruppi in base all’età di acquisizio- ne della seconda lingua -l’attività cerebrale in un compito che richiedeva la composizione di frasi nella lingua madre e nella seconda lingua. Mentre in entrambi i gruppi l’attivazione delle aree temporali di sinistra era del tutto paragonabile per le due lingue, l’attivazione delle aree linguistiche frontali era significativamente diversa a seconda della lingua usata nel gruppo dei bilingui «tardivi», fra quelli cioè che avevano acquisito la seconda lingua intorno agli Il anni di età (si veda la figura nella pagina a fronte).

Afasia e conoscenza delle lingue

Le prime importanti informazioni sull’organizzazione cerebrale delle di. verse aree responsabili delle lingue parlate sono state ottenute analizzando in soggetti capaci di parlare più lingue il tipo di recupero dei disturbi afasici indotti da lesioni cerebrali. Questo recupero, infatti, non sempre avviene in maniera parallela per le varie lingue. Martiri Albert e Lorraine
K. Obler dell’Università di Boston e Ruth Silverberg e Harold W. Gordon dell’Università di Gerusalemmehanno descritto tre paZienti bilingui che sembravano presentare un’ afasia differenziale, cioè una diversa sindrome afasica per ogni singola lingua da loro conosciuta. Per esempio, un’ afasia di Broca (caratterizzata da disturbi della produzione linguistica) in ebraico e un’afasia di Wernicke (caratterizzata da disturbi della comprensione) in inglese. L’esistenza nello stesso paziente di due sindromi afasiche completamente diverse causate da un’unica lesione cerebrale può essere spiegata solo se si postula una netta separazione tra le modalità di rappresentazione delle due lingue. Tuttavia, secondo numerosi neurolinguisti, la stessa sindrome afasica può presentare sintomi diversi nelle due lingue sulla base delle differenze strutturali e formali delle lingue in cui si manifesta. Un paziente bilingue inglese-italiano che in seguito a un’afasia di Broca ometta patologicamente i pronomi personali commetterà molti più errori grammaticali in inglese (dove i pronomi personali sono obbligatori) rispetto all’italiano, mentre commetterà errori morfologici solo apparentemente differenti in italiano e in inglese. In effetti, l’idea di una separazione anatomica assoluta delle rappresentazioni linguistiche è decisamente in contrasto conle recenti nozioni di riarrangiamenti dinamici nel cervello, anche adulto. È più logico pensare che sia la regolazione dell’ accesso alle varie rappresentazioni a essere più o meno danneggiata da una lesione cerebrale. Questa visione trova sostegno in alcuni comportamenti linguistici, le reazioni afasiche, osservati nei pazienti bilingui: per esempio, il mescolamento patologico delle due lingue all’interno di una stessa frase (mixing). Nelle comunità bilingui il fenomeno del mescolamento è abbastanza frequente e certamente non patologico, ma rispetta precise regole linguistiche (per esempio i pronomi e le preposizioni non vengono espresse in una lingua diversa dal resto della frase) e sociolinguistiche (non viene mai prodotto un mixing se uno degli interlocutori non capisce una delle lingue usate).
Quando un soggetto bilingue diventa afasico, invece, si osserva un tipo di mixing che non rispetta né le regole linguistiche, né quelle sociolinguistiche, come dimostra l’esperienza che uno di noi (Franèo Fabbro) ha fatto con un paziente di madrelingua slovena, seconda lingua italiana, terza lingua friulana e quarta lingua inglese. Dopo un ictus, che aveva prodotto un’estesa lesione al lobo temporale sinistro, il paziente presentava un’ afasia di Wernicke in tutte le lingue che conosceva; tale afasia era associata a un quadro molto grave di mixing fra italiano, friulano e inglese. Qui di seguito vengono riportati alcuni esempi tratti dal colloquio tra esaminatore (E) e paziente (P).
(E) «Che lavoro faceva in Canada?» (P) «In Canada? Cò facevo la via? I was working with ce faccio coi… del… fare, i signori la che i faceva…»
(E) Cemut ajal imparar l’ingles? (P) «O Signor benedet! Quando ero cuan che jo
o eri solduet jo o ai studiar ingles, o ai imparar par quindis dfs no, e o soi star English, mi mi ha fatto giusto un affare no, un sublan O.K.! English sì, oh yeah, Svizzera sì, Svizzera sì/at zingher zingherno.» Un altro interessante fenomeno indicante la necessità di una regolazione dell’accesso ai diversi sistemi linguistici è il fenomeno dell’antagonismo alternato, descritto da Michel Paradis, della McGill University di Montreal, in un soggetto bilingue francese-inglese, divenuto afasico in seguito all’asportazione di una malformazione venosa .nella regione parietale sinistra. Nella prima settimana dopo l’operazione il paziente, pur comprendendo ancora entrambe le lingue, non riusciva più a esprimersi in francese. Poiché sua moglie non capiva l’inglese, il padre doveva fungere da interprete fra i due. Nella seconda settimana il paziente recuperò il francese, ma non era più capace di esprimersi in inglese, e pertanto non riusciva più a comunicare con le infermiere dell’ospedale che conoscevano solo l’inglese. Uno dei comportamenti verbali più caratteristici dei bilingui è la traduzione da una lingua all’altra, che può avvenire dalla seconda lingua alla lingua madre (traduzione passiva), e dalla prima lingua alla seconda (traduzione attiva). La traduzione passiva è in genere più facile di quella attiva. Negli afasici bilingui si riscontrano molto frequentemente fenomeni di alterata traduzione che fanno pensare a un problema di regolazione dell’ accesso ai codici linguistici. Michel Paradis osservò che i pazienti con il fenomeno dell’antagonismo alternato erano paradossalmente in grado di tradurre verso la lingua che in quella giornata non erano in grado di parlare, ma non viceversa. Per esempio, una paziente che parlava sia arabo (la sua lingua madre) sia francese riusciva a tradurre dall’ arabo al francese, ma non viceversa, proprio nei giorni in cui non era in grado di esprimersi spontaneamente in francese (antagonismo alternato). Tale traduzione era paradossale, perché possibile solo nella direzione più difficile.

Come funziona il cervello dei bilingui

Sulla base di questi fenomeni è stata postulata l’esistenza nel cervello di una serie di componenti funzionalmente separate e indipendenti per la comprensione e l’espressione di due lingue e per la traduzione dalla lingua materna in quella appresa e viceversa. Si è infatti osservato che lesioni cerebrali diverse inibiscono specificamente alcune di queste componenti. Abbiamo potuto osservare un recupero paradossale della seconda lingua in una donna destrimane di 70 anni la cui prima lingua era il dialetto veronese, parlato dalla nascita sia in famiglia sia in ambito lavorativo (coltivazione e vendita di ortaggi), e la seconda lingua, l’italiano standard, studiato a scuola per soli tre anni e successivamente utilizzato in maniera molto limitata. In seguito a un ictus cerebrale, la paziente, con grande stupore proprio e dei familiari, riusciva ad esprimersi esclusivamente in italiano standard, un comportamento che rendeva la comunicazione con parenti e amici del tuttò innaturale. Un anno dopo la lesione la paziente è giunta alla nostra osservazione con l’esplicita richiesta di essere aiutata a recuperare il dialetto veronese, lingua per lei socialmente più importante dell’italiano. In effetti abbiamo constatato che, pur presentando alterazioni quaIitative tipiche di un’afasia di Broca in entrambe le lingue, ella aveva difficoltà assai maggiori nell’ esprimersi in veronese e, paradossalmente, nella traduzione dal dialetto alla lingua italiana piuttosto che nella direzione opposta. il comportamento linguistico di questa paziente ci ha posto notevoli problemi interpretativi sia perché la stragrande maggioranza dei pazienti afasici bilingui risulta meno danneggiata nella lingua madre (solitamente recuperata per prima rispetto alle lingue apprese successivamente), sia perché la lesione della paziente era localizzata ai gangli della base, soprattutto al nucleo caudato e al putamen di sirustra (si veda la figura in questa pagina), ma non coinvolgeva le aree della corteccia cerebrale la cui lesione provoca di solito sindromi afasiche. Una possibile chiave di lettura del disturbo richiede una breve incursione nelle relazioru tra memoria e apprendimento del linguaggio e circuiti nervosi che sottostanno a queste funzioni.

Questa risonanza magnetica nucleare eseguita in una paziente dopo ictus cerebrale mostra, sia nelle sezioni trasversali (parte alta delÙlfigura) sia in quelle coronali (parte bassa), una lesione (frecce) nelle parti dei gangli della base corrispondenti alla testa del nucleo caudato e al putamen di sinistra. Tali strutture, notoriamente coinvolte nel controllo motorio, sembrano svolgere un ruolo anche in alcuni compiti cognitivi.

Tipi di memoria e acquisizione del linguaggio

La memoria non è un sistema unitario, ma piuttosto un mosaico di sistemi. Nell’ambito della memoria a lungo termine, per esempio, si distingue la memoria dichiarativa da quella procedurale. La memoria dichiarativa comprende informazioni riguardanti specifici fatti ed episodi (memoria episodica) e conoscenze enciclopediche (memoria semantica). Le informazioni contenute in questo tipo di memoria sono accessibili all’introspezione (memoria esplicita) e possono essere verbalizzate (recupero consapevole).
L’acquisizione di nuove informazioni di tipo episodico e semantico sembra legata all’ippocampo e alle porzioni mediali del lobo temporale. Una volta fissate, queste informazioni vengono depositate nelle aree corticali associative temporoparietali. La capacità di apprendere procedure che richiedono contemporaneamente un bagaglio di conoscenze e un’abilità motoria come, per esempio, il gioco del tennis, rappresenta un tipo di memoria che tipicamente si instaura tramite ripetizioni del compito e non richiede consapevolezza (memoria implicita). Questo meccanismo implicito è probabilmente anche alla base dell’apprendimento della lingua materna. Lo dimostra il fatto che pazienti con lesioni al sistema ippoèampo-mesotemporale -che provocano amnesia anterograda (ossia incapacità a ricordare fatti successivi alla lesione) -possono acquisire implicitamente elementi grammaticali di lingue straniere non conosciute prima del danno cerebrale, mentre sono incapaci di apprendere il significato di parole nuove persino nella loro lingua materna. Va sottolineato inoltre che anche alcune strutture sottocorticali, come i gangli della base, strettamente connesse con aree associative prefrontali svolgono un ruolo cruciale nell’ acquisizione implicita di informazioni procedurali. Poiché una lesione cerebrale può colpire selettivamente solo alcuni dei sistemi mnestici sopra descritti, il recupero paradossale della seconda lingua (l’italiano) nella paziente veronese potrebbe essere dovuto a una maggiore compromissione dei sistemi della memoria implicita preposti alla prima lingua (il dialetto) e organizzati nelle strutture cerebrali profonde; invece la seconda lingua, appresa a scuola e utilizzata mediante l’applicazione di strategie consapevoli, è stata maggiormente risparmiata perché organizzata prevalentemente nei sistemi della memoria esplicita che si avvalgono soprattutto delle strutture corticali.

Come facilitare l’apprendimento delle lingue

Tra le grandi sfide poste dall’Unione Europea vi è anche quella di estendere su vasta scala l’apprendimento di più di una lingua. Al fine di impostare programmi pedagogici che ottimizzino l’ educazione multilingue, è molto importante conoscere le tappe maturative e le potenzialità plastiche delle strutture cerebrali coinvolte in questo tipo di apprendimento. L’acquisizione delle diverse competenze linguistiche (fonologiche, siritattiche, lessicali) è legata alla graduale e non contemporanea maturazione dei loro substrati nervosi. Svariati studi comportamentali dimostrano che la completa acquisizione delle componenti fonologiche sia percettive (per esempio, la discriminazione di fonemi) sia motorie (assenza di accento straniero nel parlare le lingue apprese) si raggiunge solo se i bambini vengono immersi in un ambiente in cui si parla una seconda lingua prima dei sei anni. Inoltre, è stato osservato che già dopo gli otto anni di età va progressivamente declinando la capacità di imitare la prosodia delle lingue straniere. Christine Weber-Fox e Helene J. Neville, dell’Università di Eugene nell’Oregon, hanno esaminato le competenze sintattiche e seinantiche in soggetti di madrelingua cinese immersi a varie età in un ambiente dove si parla la lingua inglese. Questi ricercatori hanno osservato che l’esposizione a questa seconda lingua intorno ai sette anni di età era già tardiva, in quanto i soggetti non riuscivano ad acquisire una completa competenza grammaticale. Se poi l’ esposizione avveniva intorno ai 16 anni d’età, la competenza semantico-lessicale mostrava grosse lacune che non venivano mai colmate. Sembra che la situazione sia un po’ più favorevole quando la parentela tra la lingua materna e la seconda lingua è più stretta. Studi preliminari in soggetti che parlano sia spagnolo sia inglese indicano infatti che l’immersione nella seconda lingua intorno ai sette anni provoca alterazioni grammaticali meno gravi rispetto ai soggetti cinesi. È interessante notare che gli aspetti fonologici e molti degli aspetti sintattici sono ben appresi, anche se in maniera del tutto inconsapevole, già intorno ai tre anni. Per contro, il patrimonio lessicale a quell’età è molto limitato. Già prima dei sei anni, le strutture nervose – gangli della base, cervelletto, aree corticali sensorio-motorie primarie e secondarie – che sono legate alla memoria implicita e che sembrano avere a che fare con fonologia e sintassi, presentano un elevato grado di maturazione. Invece le strutture legate alla memoria episodica ed enciclopedica – sistema ippocampale e aree corticali associative, soprattutto temporo-parietali – che sono probabilmente connesse agli aspetti lessicali del linguaggio, iniziano la loro maturazione più tardi e la completano solo in età adulta. Vediamo come queste conoscenze fornite dalla neuropsicologia potrebbero dunque dimostrarsi utili per l’educazione multilingue. Nel caso delle cosiddette lingue morte (latino, greco classico) sembra che si attui una forma di apprendimento e memorizzazione esplicita delle lingue. La difficoltà di assimilame le procedure dipende dal fatto che esse non vengono parlate, ma sono prevalentemente oggetto di traduzione verso le cosiddette lingue vive mediante l’applicazione di regole apprese consapevolmente. Gran parte dell’insuccesso nell’insegnamento delle lingue straniere potrebbe dipendere da un’impropria applicazione alle lingue vive del modello didattico utilizzato per lo studio delle lingue morte. Siccome l’apprendimento più naturale della lingua sembra avere luogo in forma implicita, la seconda lingua ed eventualmente la terza devono essere acquisite in questa forma, magari durante attività di socializzazione o gioco. Sarebbe auspicabile che l’esposizione ad altre lingue avesse luogo entro i sei-sette anni d’età, prima che le basi nervose degli apprendimenti procedurali siano giunte a completa maturazione. È ovviamente fondamentale che il modello linguistico da imitare (insegnante, vicemadre, genitore) abbia competenza piena della lingua che vuole trasmettere, con una conoscenza fonologica, sintattica e lessicale pari a quella dei soggetti di lingua madre. I fenomeni di interferenza tra una lingua e l’altra sono ovviamente maggiori nei bilingui, ma non sembrano creare problemi diversi dai fenomeni di interferenza gergale nell’ ambito di ogni singola lingua. Comunque, per limitare il mescolamento tra lingue diverse o il passaggio inappropriato da una lingua all’altra, si consiglia di «ancorare» ciascuna lingua a un ben determinato ambiente sociale, affettivo o di gioco, come mostra la prossima figura.

L’apprendimento più naturale di una seconda lingua avviene in maniera inconsapevole nei bambini di età inferiore a 6-7 anni attraverso attività di socializzazione o di gioco, purché organizzate da persone che conoscano a fondo la lingua insegnata.
articolo pubblicato su Le Scienze – gennaio 1999
di S.Aglioti e F.Fabbro
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