martedì 26 aprile 2016

"kalos e agatos" e il bullo

Ero entrata nella scuola pubblica fra studenti di 12 /16 anni con il mio programma "conosci te stesso" ispirato alle neuroscienze.
Ne ero così convinta che mi sono avviata al primo appuntamento ,in una prima superiore,  con grande tranquillità.
Ero sicura che avrei potuto offrire ai ragazzi quelle informazioni che io e tanti miei amici  avevamo aspettato invano   nel nostro percorso scolastico.
E così è avvenuto
.Erano ansiosi di comunicare e io non ho perso tempo a fare delle emozioni  la prima tappa delle loro conoscenze  per comunicare meglio
Sono arrivate a raffica mille domande , osservazioni , riflessioni  per fortuna una diversa dalle altre .
Quindi gli studenti appena hanno cominciato a conoscere  le emozioni  iniziavano  subito a riflettere sul loro comportamento e su quello dei compagni con più attenzione e critica
,Il gruppo dei pari offre uno spaccato sociale insostituibile
Scoprivano così che il" bullo" non è un soggetto più forte ma come la vittima che subisce  non sa gestire bene le proprie emozioni  i propri meccanismi difensivi così il bullo aggredisce  perchè  non sa gestire bene  la propria rabbia distruttiva , e non gode di buona autostima .
Tante interpretazioni sono state dette e scritte alcune più interessanti , alcune meno , ma nessuna che io sappia sul rapporto del bullo con il bello, il buono.
Ha scritto Piero Barbanti «La  neuroestetica, una branca della ricerca sul bello e il cervello, rivela come peculiare il fatto che la bellezza abbia un valore finalizzato, che attivi cioè nel cervello le stesse vie che si attivano quando cerchiamo il cibo o quando vogliamo riprodurci. Quindi la bellezza è una parola chiave per la nostra sopravvivenza e per la nostra riproduzione».
«Essa», continua, «genera nel cervello un terremoto, che, per così dire, va prima avanti e poi indietro. Ad esempio se vedo un bellissimo paesaggio, si risveglia in me la parte della visione, che mi dice cosa sto osservando, quindi l’impulso prima va in avanti, poi però si tuffa in profondità nei centri della memoria pescando vecchi ricordi e nei centri dell’emotività dando gratificazione ma anche brivido: un brivido scuotente tra quello che vedo e quello che ricordo del mio passato».
Altro aspetto: il rapporto tra bellezza e bontà, che sussiste nel nostro stesso modo di essere e di pensare. «In questo caso avviene una bizzarria: se vedo qualcosa di molto bello la parte orbito-frontale del mio cervello si attiva, ma la stessa si attiva anche se penso, vedo, immagino o parlo con una persona di grande moralità: tendiamo cioè a considerare belli i buoni e viceversa. In tal senso la sovrapposizione tra “kalos e agatos”, tra bello e buono, ha una base neurofisiologica».
Allora il bullo potrebbe essere  nato con un deficit su base fisiologica al bello e al buono.
Non è difficile trovare bambini anche molto piccoli che non hanno una marcata predisposizione a monitorare il mondo intorno alla ricerca del bello e del buono,   che può suscitare in loro una risposta di forte e gioioso benessere  come succede per  la ricerca dell'amore o del cibo necessari alla sopravvivenza.
E qualora un educatore lo intuisse sarebbe possibile  migliorare almeno un po' questa carenza?
E come?
Oppure è intermittente per fattori ambientali,  relazionali come lo sono il cibo (bulimia, anoressia) o come la ricerca del sesso che può essere debole o  divenire addirittura ossessiva per esperienze e fattori ambientali?
In questo momento ,come dicono,  di forte aumento del fenomeno bullismo potrebbe essere una società povera di bello e buono a indebolirlo  a favore della ricerca di valori materiali che possono esistere senza desiderio, parola sconosciuta dai miei studenti,  e quindi avviarsi a una dipendenza oggettistica tecnologica  dannosa al soggetto e alla società ?
Se il bullo è sempre esistito, basta ricordare il titolo del famosissimo film di Totò"Siamo uomini o caporali!" o tanti personaggi della politica peggiore che ha influenzato interi periodi storici è ora che , soprattutto nel percoso educativo,  alla luce della "neuroestetica" si osservi  meglio conoscendone le basi neurofisiologiche l'aspetto emotivo relazionale  e  quello importantissimo della società   attuale.
dott.ssa Adriana Rumbolo

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giovedì 14 aprile 2016

Che cosa sappiamo della bellezza.Ne parla il Prof.Barbanti

“La grande bellezza”: un oscar al cinema italiano e alla sontuosa bellezza di Roma, a una bellezza straordinaria che oscilla tra sacro e profano, tra vanità, spettacolarità e spiritualità. Ma cosa succede al nostro cervello di fronte a “una grande bellezza”? A dare risposta a questa domanda è una specifica branca della neurologia, la neuroestetica.
Il Prof. Piero Barbanti, neurologo dell’IRCCS San Raffaele Pisana, ci spiega cosa intende il nostro cervello per bellezza e che emozioni provoca: «La neuroestetica, una branca della ricerca sul bello e il cervello, rivela come peculiare il fatto che la bellezza abbia un valore finalizzato, che attivi cioè nel cervello le stesse vie che si attivano quando cerchiamo il cibo o quando vogliamo riprodurci. Quindi la bellezza è una parola chiave per la nostra sopravvivenza e per la nostra riproduzione».
«Essa», continua, «genera nel cervello un terremoto, che, per così dire, va prima avanti e poi indietro. Ad esempio se vedo un bellissimo paesaggio, si risveglia in me la parte della visione, che mi dice cosa sto osservando, quindi l’impulso prima va in avanti, poi però si tuffa in profondità nei centri della memoria pescando vecchi ricordi e neicentri dell’emotività dando gratificazione ma anche brivido: un brivido scuotente tra quello che vedo e quello che ricordo del mio passato».
Altro aspetto: il rapporto tra bellezza e bontà, che sussiste nel nostro stesso modo di essere e di pensare. «In questo caso avviene una bizzarria: se vedo qualcosa di molto bello la parte orbito-frontale del mio cervello si attiva, ma la stessa si attiva anche se penso, vedo, immagino o parlo con una persona di grande moralità: tendiamo cioè a considerare belli i buoni e viceversa. In tal senso la sovrapposizione tra “kalos e agatos”, tra bello e buono, ha una base neurofisiologica».
Ma la bellezza può anche, in alcuni casi, essere dannosa per il nostro cervello. Stiamo parlando della Sindrome di Stendhal: «Si tratta – spiega Barbanti – dell’innesco di una potentissima reazione emotiva di fronte ad un’opera d’arte. In realtà non è un malessere passeggero, ma una vera e propria reazione acuta. Si scontrano il flusso estetico, cioè ciò che sto vedendo, col flusso emotivo. E questo “bacio mortale” avviene nell’insula, zona del cervello che controlla il ritmo cardiaco e la frequenza respiratoria. Da qui il profondo stato di malessere. Dal punto di vista fisico il nostro sistema nervoso vegetativo entra in tilt perché ha due messaggi contrastanti: bellezza da un lato, emozione, pathos e paura dall’altro. Secondo la statistica italiana, i ricoveri per la sindrome sono dovuti a vere e proprie psicosinel 66% dei casi, ad aspetti ansiosi nel 29% e ad attacchi di panico nel 5%».

giovedì 7 aprile 2016

Ciao, amica!

La betaamiloide  ti sta portando lontana da me,  non ha avuto rispetto  dei nostri incontri dove con leggerezza  ci muovevamo nei nostri percorsi di vita , fra passato e presente incontri che ci lasciavano soddisfatte e divertite e con il desiderio di ritrovarci .
Presto tu ti allontanerai in un inverno freddo senza avere il tuo caldo e comodo cappotto e le tue sciarpe che una spilla deliziosa , un angioletto, di semplice ottone tratteneva  perchè  tu non prendessi freddo.
Quante volte mi hai chiesto notizie del mio lavoro nel quale speravamo tanto  per aiutare i giovani nel loro percorso di crescita e nella ricerca affannosa di un rimedio per tante malattie che attendono una luce per potere essere comprese e guarite.
Ci vuole tempo e tu non puoi aspettare -
Ora  attendo  con timore il momento in cui tu mi guarderai senza vedermi e tengo stretto il ricordo di quando  poco tempo fa mi hai detto;"Ora esprimo la mia parte dolce
Ciao amica che la leggerezza accompagni questa  profonda malinconia.Adriana