mercoledì 16 settembre 2020

Sistema Limbico

 

Sistema Limbico



Agli studenti era piaciuto molto conoscere la storia del cervello ed essere i miei diretti interlocutori. Finalmente non avevano intermediari giudici nel conoscersi e nell'interpretare il proprio sentire. Era stato messo in silenzio il coro eterogeneo dei vari giudizi che li criticava (padre, madre, insegnanti, allenatori sportivi, compagni superficiali) molto diversi l'uno dagli altri per cui la voce del ragazzo si perdeva.

Dopo gli incontri, forse, i ragazzi si sarebbero scelti da soli i propri interlocutori, e poiché le emozioni hanno bisogno di racconto, avrebbero messo, perché no, anche il diario fra questi.

Poi è stato facile per tutti percepire quanto fosse, indispensabile comunicare: con gli altri, con se stessi, con i suoni, con i colori, con il proprio corpo, con il cibo ecc... in una continua interazione.

Per sottolinearne maggiormente la necessità, abbiamo insieme riflettuto sulla condizione di un soggetto che ne è stato privato o che non ne gode appieno.

Si è parlato così dei prigionieri di guerra che vengono tenuti in isolamento per distruggerne la volontà e creare in loro una dipendenza assoluta: di esperimenti scientifici che hanno dimostrato che un soggetto dal più totale e prolungato isolamento potrebbero riportare danni cerebrali irreversibili.

Uno studente di 15 anni è intervenuto facendo notare che anche il padre di Gertrude, la monaca di Monza, aveva usato la mancanza di comunicazione per annullare la volontà della figlia e, approfittando della sua conseguente dipendenza affettiva, metterla in convento per sempre e poi ha aggiunto, ma parliamo dello stesso libro che studiamo a scuola!

Ho portato in classe illustrazioni prese da una rivista scientifica che raffiguravano come nel cervello di un neonato, la crescita dei neuroni fosse condizionata e sollecitata da una buona relazione con l'ambiente intorno.

Alcuni studenti che avevano un fratellino, una sorellina di pochi mesi, hanno riferito di avere osservato che i neonati smettevano di piangere a un tono rassicurante e che rispondevano con un sobbalzo a un urlo o a un rumore forte.

Ho avuto la tentazione di portare in classe un bambino di pochi mesi, perché tutti i ragazzi potessero vedere come è già in grado di relazionare e quanto lo può disturbare una cattiva relazione.

Ma poi non ho voluto far pagare a un neonato un prezzo così caro per la scienza e non se n'è fatto nulla.

Ma con che cosa si comunica? Con che cosa si relaziona? Un ruolo fondamentale, secondo le ultime acquisizioni, è affidato alle emozioni.

Prima della fine del '900 Charles Darwin, William James, Sigmond Freud avevano già trattato diffusamente le emozioni

conferendole un posto privilegiato nel dibattito scientifico e proprio. Freud aveva già colto senza mezzi termini, il potenziale patologico dei disturbi emotivi, e Darwin in base all'universalità di questo fenomeno, perché la stessa fisiologia di base delle emozioni si è tramandata ed è stata usata all'infinito nel corso di ere di evoluzione della specie, formulava l'ipotesi che le emozioni fossero la chiave della sopravvivenza del più forte.

Eppure per tutto il secolo appena trascorso e fino a tempi molto recenti tanto le neuroscienze quanto le scienze cognitive hanno trattato l'emozione con estrema freddezza.

Era considerata l'opposto della ragione, di gran lunga la più pregevole capacità dell'uomo, che si supponeva fosse del tutto indipendente dalle emozioni.

Negli ultimi anni le neuroscienze e le neuroscienze cognitive hanno finalmente approvato l'emozione e hanno dimostrato che le emozioni 'impulsi ad agire', risposte all'ambiente necessarie alla sopravvivenza sono parte integrante dei processi del ragionamento, dell'apprendimento, della memoria e della decisione del bene e del male.

Le emozioni ben dirette e ben dispiegate sembrano essere un sistema di appoggio, senza il quale l'intero edificio della ragione non può operare a dovere.

Inoltre, come propone nel suo libro “Molecole di emozioni” Candace Pert sarebbero le emozioni a unire fra loro mente e corpo.

Conoscere i sentimenti causati dalle emozioni è indispensabile per la coscienza di sé.

Potremmo poi dire semplicemente che la coscienza è stata inventata perché conoscessimo la vita

Da quel momento comincia il nostro conoscere. Di questo gli adolescenti avevano urgente bisogno e su questo si è dialogato con serenità, curiosità e qualche bella risata.

I ragazzi stentavano a credere che le loro emozioni a cui non avevano attribuito né un'esistenza né un nome, avessero sede soprattutto nel cervello e che tutti le avessero e che fossero così importanti.

Ah! Si chiamano emozioni!” quelle reazioni a volte chiare, a volte confuse, a volte incontrollabili: scatti improvvisi di rabbia, entusiasmo ingestibile, timidezza insuperabile, paure, desideri “tutto e subito”, aggressività esplosiva che spaventa e il bisogno sempre e comunque di comunicare.

Ma le emozioni, come si mostrano?

Scrive Damasio (“Emozione e coscienza” - Brain and Cre­ative Institute - University of California, Adelphi): “Le emozioni usano il corpo come teatro...”.

Capita proprio in classe un episodio che ci aiuta a comprenderlo. Entrano due ragazzi di una sezione diversa per dare una informazione, una studentessa alla vista dei due e in particolare di uno dei due, scompare dentro il banco. Quando, finita la comunicazione, i ragazzi se ne vanno, la studentessa dai lunghi capelli ricci, riemerge tutta rossa in volto.

I compagni ridono, ma vengono subito bloccati, perché c'è una dimostrazione in corso: la visibilità della grande emozione è espressa in parte dal rossore del viso della fanciulla, rossore che da quel momento avrà il diritto di cittadinanza tra i banchi di scuola.

Poi nella studentessa ci sarà un rientro dell'emozione che la coscienza trasformerà in sentimento.

Le emozioni, inclinazioni biologiche, presenti fin dalla nascita e forse anche prima, necessarie alla sopravvivenza e protagoniste della comunicazione, non sfuggono all'influenza dell'esperienza personale della cultura.

Proprio nella socializzazione potrebbero verificarsi sofferenze emozionali che si esprimeranno in indifferenza, disinteresse, inattività, comportamenti a rischio per se stessi e gli altri, disturbi della memoria e del giudizio.

Scrive J. Le Doux (“Il cervello emotivo”, Baldini & Castoldi Dalai editore - Milano 1996): “Ci vuole igiene emotiva per conservare la salute mentale e i disturbi mentali riflettono per lo più un ordine emotivo infranto”.

Ora per i ragazzi è naturale collegare i “disordini emozionali” e tanti loro malesseri.

Ecco perché mi sudano le mani, ecco perché sbatto gli occhi, ecco perché non riesco a riportare per il cambio un acquisto difettoso e le tante paure sociali: paura di perdere il proprio passato (sindrome di Pollicino), paura di non essere all'altezza delle aspettative degli altri... paura di non poter dire la propria opinione o di non potersi ribellare a qualcosa o a qualcuno ecc.

Uno studente di 15 anni: “la paura sociale è quella cosa che primeggia nei nostri cervelli...”

Finalmente prendendo coscienza di sé è come se fossero entrati nel loro castello dove la conoscenza scientifica aveva sostituito l'elettricità.

Pirandello nella novella “Ciaula scopre la luna” ha scritto: “E la chiaria cresceva, cresceva...”.

Arriva in classe il primo disegno del cervello emotivo eseguito da due studentesse di 14/15 anni per sottolineare le adeguate corrispondenze fra mente, cervello e comportamento.