lunedì 14 settembre 2020

Prefazione

 

Prefazione

Ho gettato il “sassolino della scienza” nello stagno degli adolescenti (12/16 anni) in alcune scuole pubbliche del comune e della provincia di Firenze.

I cerchi di ritorno fitti, fitti hanno cancellato la stagno.

Sulle informazioni che fornivo sul cervello, in particolare sul cervello emotivo si è velocemente acceso un dialogo intenso, vivace che spaziava libero nella conoscenza e che mi orientava nel percorso di un'esperienza, forse unica in Italia.

Per rispondere a tante domande ho dovuto coinvolgere anche discipline che non mi sono proprie.

Non vorrei avere esagerato.

Mi auguro che quest'esperienza dai risultati significativi, fatta con i ragazzi, nel luogo più pertinente, la scuola, venga portata avanti da un gruppo costituito non solo da pedagogisti, psicologi, ma anche da medici fra cui un andrologo.

L'ho chiesto anni fa, ma i tempi non erano maturi, ora spero lo siano.

Per un anno ho parlato con gli studenti anche della relazionalità nell'educazione sessuale e i ragazzi si erano molto interessati, ma la scuola mi fece sapere di lasciare perdere l'argomento: non so ancora perché, constatato il successo.

Tre parole non ho trovato spesso nel lungo dialogo di dieci anni, con gli adolescenti: Desiderio, Regole, Grazie.

Spero di aver rimesso in discussione il percorso educativo, nei soggetti in crescita, delle emozioni e di conseguenza la possibile prevenzione di varie espressioni di disagio che spesso e sempre più avvicinano i nostri ragazzi a scorciatoie facili e facilmente disponibili: alcool, droga, criminalità, ecc.

Alcuni studenti di una seconda media mi hanno mandato dei messaggi per aiutarmi in questa prefazione:

«È stato molto interessante perché mi hai insegnato come può essere la vita. “Emozioni a Terra del Sole”, un libro molto bello, ci ha raccontato il periodo più creativo della tua vita. Ogni giorno penso a quello che mi potrebbe accadere a scuola, ma dimentico una cosa sola, che devo assolutamente portare con me l'intelligenza e non solo quello, ma anche i miei sentimenti che negli ultimi giorni mi hanno fatto vivere come una matricola o meglio e più esplicitamente come un disgraziato. Nei giorni che Adriana Rumbolo è venuta mi sono sentito un po' tranquillo. Con lei abbiamo fatto delle attività sui comportamenti di tutti i giorni. Adriana ci diceva e ci spiegava che le emozioni che noi viviamo sono tante e fanno modificare il nostro cervello (12 anni, M)»

«Incontrarti. Nei tuoi incontri ho imparato molte più cose del cervello, su come funziona, a cosa serve, come agisce, quali parti del corpo fa funzionare, come si modifica quando parli, ascolti, quali emozioni ti fa provare. (12 anni, M)»

1. Averlo saputo!



Tutto è cominciato in una tranquilla mattina di novembre. Una classe aspetta pronta alla difesa di immagine: perché questi incontri? Non siamo mica matti! Noi non abbiamo problemi!

Di colpo la novità: non sarebbero stati sottoposti a test, né osservati, giudicati, catalogati, ma gli sarebbe stato offerto un mare di informazioni “scientifiche” sul cervello, dove ognuno avrebbe potuto attingere a seconda dei bisogni, dei dubbi da chiarire, delle curiosità a cui rispondere e con il diritto alla parola.

Si gli è stato anche detto che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto delle regole di una buona convivenza: l'hanno trovato un patto accettabile.

Sono sorpresi, ma l'argomento sconosciuto, la novità di poter parlare e di essere ascoltati li fa rilassare.

Mentre parlo incrocio le dita e mi auguro che almeno una parte di questi ragazzi a trenta, a quaranta, a cinquanta anni non dovrà dire con rabbia, con disappunto: “averlo saputo!” dopo aver vissuto, subendole, situazioni non consapevoli e dolorose.

Ho scelto di dialogare con adolescenti di dodici/sedici anni, non perché ritenga che fin dalla nascita non sia importantissimo relazionare (unico mezzo per cominciare a costruire buona autostima), ma poiché siamo ancora lontani dall'aver approfondito il percorso educativo delle emozioni, mentre il tempo passa, non possiamo ignorare i disagi e le richieste dei ragazzi.

Durante la crescita, il mondo delle emozioni subisce molte aggressioni di tipo relazionale in famiglia, a scuola, ad opera della politica dei mercati e proprio per queste, nell'adolescenza o poco dopo, per la grande energia dei cambiamenti sessuali, fisici, intellettuali, emotivi tutti mischiati fra loro, potrebbero esplodere conflitti tenuti, per lungo tempo, in sordina.

Quando ho letto, nella riflessione di una studentessa di 15 anni: “una delle paure più ricorrenti nei ragazzi e nelle ragazze della nostra età è quella di non riuscire a sentirsi accettato dagli altri per come sei veramente” ho pensato che queste paure non fossero arrivate con l' adolescenza.

L'adolescenza forse le aveva evidenziate e aggravate, ma sicuramente avevano radici molto lontane nel tempo ed era un bene che la ragazza ne avesse parlato.

I ragazzi purtroppo non sono abituati ad essere ascoltati.

L'ascolto, anche del silenzio, è già una conferma del nostro esistere, e non è poco.

È spontaneo associare l'adolescenza alla favola dei tre porcellini.

Quando il lupo arriverà (il sesso temuto) correrà gravi pericoli il porcellino che ha la casa di paglia; avrà più possibilità quello con la casa di legno; potrà resistere il porcellino con la casa di mattoni.

Negli anni che precedono l' adolescenza i bambini spesso denunciano i loro disagi di origine relazionale (enuresi, tics, encopresi, tricotillomania, regressioni, onicofagia, aggressività, incubi) con messaggi chiari e forti, ma il pregiudizio e la vergogna scolorano il tutto nell'espressione “con il crescere migliorerà, aspettiamo”.

Poi la famosa pausa di latenza rassicurerà molti. Si, tutto è stato superato, non pensiamoci più.

Quando arriverà l'adolescenza i disagi psicologici ritorneranno, più forti, meno comprensibili e più incontrollabili.

E di nuovo, il pregiudizio: “la colpevole è l'adolescenza”. Pochi pensano che, come nella favola dei tre porcellini, non è tanto la forza del lupo a distruggere le case e a metterli in pericolo, quanto la precarietà delle case stesse, ovvero la fragilità di molti, forse troppi bambini gravemente carenti di

autostima.

Per questo è nato il mio programma “Prendi coscienza di te stesso”, che introdotto dalla teoria di Pirandello, perché la scuola lo accettasse più volentieri, voleva offrire ai ragazzi un dialogo per la conoscenza e la gestione delle emozioni, dei sentimenti al presente, ma con uno sguardo anche al passato.

I ragazzi avrebbero potuto, piano piano, approfondire la loro conoscenza fino a divenire “mediatori di se stessi”.

In questo programma, ho evitato di proposito parole come patologico, normale, non normale, matto, psicotico, schizofrenico ecc...

Pure avendo come tema centrale le emozioni nella presentazione del programma ho aggiunto titoli che prendendo spunto dal quotidiano coinvolgessero tanti interessi della loro vita.

2. Nasce un programma a misura di adolescente


Prendi coscienza di te stesso”

Così è stato presentato ai dirigenti scolastici (96/97)

Nella profondità originaria di tutte le creature umane, c'è un'energia potenziale che non è ancora “qualche cosa”, che non è ancora “vita” e tale non può essere se non assume una fisionomia specifica, se cioè non discende in una “forma”.

Quando però questa energia potenziale entra in una forma, allora restano precluse tutte le altre “forme” a cui un essere umano potrebbe aspirare.

La vita per essere tale ha bisogno della “forma”, ma la forma la limita e la soffoca .

Gli uomini non sospettano l'esistenza di questa loro prigionia e continuano a vivere tranquillamente.

Ma vengono gli attimi della riflessione dovuti ad un incidente, ad un motivo qualsiasi e in lontananza si avverte la presenza di una vita diversa, non nostra, ma che avrebbe potuto essere nostra.

Allora le cose di ogni giorno appaiono vuotate di ogni senso .

L'uomo capisce di essere caduto nelle “forme” senza una sua effettiva partecipazione.

I costumi, le tradizioni, le abitudini, i pregiudizi, le leggi, le convenzioni i pudori crollano uno ad uno: sono “forme”, quindi ipocrisie, maschere che ci gravano intorno come tanti tentacoli. Questa concezione di Pirandello, della vita, sconvolgente per il suo contenuto di universale verità, ci sollecita a far si che i nostri ragazzi approfondiscano la coscienza di sé e del mondo intorno, prima di prendere decisioni importanti negli affetti e nel lavoro. È vero che prima della vita scolastica i ragazzi hanno vissuto in seno alla famiglia, dove sono maturate le prime e più

importanti conoscenze. È all'infanzia, infatti, che spettano le “operazioni più significative”.

È vero che il nostro cervello è costituito da strutture fissate fin dalla nascita o che maturano successivamente sotto la direzione di un ingegnere genetico, ma è costituito anche da strutture aperte, plastiche (neuroplasticità), che invece rispondono e si organizzano sotto l'azione delle vicende personali e sociali.

La vita insomma è garantita da meccanismi difensivi inscritti nel codice genetico (il vivere), ma la qualità dipende, in gran parte, dalle esperienze che non hanno nulla di deterministico (il come vivere)."Vittorino Andreoli

Gli scopi della scuola, in condizione di poterlo fare, dovrebbero essere quelli di fornire agli studenti con il dialogo, informazioni scientifiche, per conoscersi meglio, per avere maggiore fiducia in sé, (autostima) e migliorare i rapporti con gli altri.

A tal fine proporrei una serie di incontri con gli studenti, almeno sei, ogni anno, della durata di un'ora e mezzo ciascuno, intervallati da due o tre settimane, la mattina, sempre con la partecipazione di un docente.






Titoli degli incontri:

Piacersi per piacere. Darsi e non sdarsi.

Tutto e subito”. Ma con il desiderio come la mettiamo? Agli animali in pericolo la mimetizzazione, a noi la bugia. Il si e il no.

L'importanza della risata.

LE EMOZIONI - IL RELAZIONARE

L'ansia e la paura dell'apprendimento.

Esplora, conosci, crea La teoria dei sei cappelli (De Bono).

La dipendenza affettiva e l'autonomia.

I pregiudizi.

Le aspettative.

Il gruppo (aiuta, frena, condiziona). L'importanza del limite.

I sensi di colpa.

Essere e avere.

La competizione.

La famiglia

3. I diretti interlocutori sono loro


Sono entrata a scuola fra gli adolescenti: una massa colorata, vociante, corpi dondolanti su zeppe altissime.

Gli zaini rigonfi i capelli immobili e lucidi per il gel.

Si sentivano le ultime musiche, i cellulari squillare e ho percepito in loro il grande desiderio di emergere collettivo e confuso, ma forte come l' odore del loro sudore o delle scarpe sportive appena tolte.

Poi le voci si sono abbassate la grande massa si è rapidamente scomposta e ricomposta in piccoli gruppi nelle aule.

Ora sono tanti volti, tanti occhi in cui mille espressioni promettono tanto, se riusciamo a ritrovarci a riconoscerci nella comunicazione.

E dalla comunicazione si è partiti, ma prima era necessaria una breve introduzione sulla storia del cervello che è iniziata interessante, veloce, con precisi riferimenti alle funzioni che il cervello svolgeva via, via che proseguiva nel suo percorso antropologico (La teoria dei tre cervelli di Paul MacLean: il cervello rettile, emotivo, neocorteccia o cervello pensante).

Un documentario sull'evoluzione umana, divulgato in televisione da Piero Angela, racconta quando l'uomo pianse per la prima volta alla morte della compagna.

Forse è stato il “vagito” del cervello emotivo, oppure no, ma è stato bello immaginarlo.

E poi la neocorteccia.

Ai ragazzi è stata descritta come un casco, termine a loro familiare, che avvolge il cervello con numerose e profonde pieghe e ha anche questo compito meraviglioso: raccogliere tutte le nostre conoscenze, le nostre esperienze.

Però il cervello non può fissare tutti i dati che gli arrivano, sono troppi.

La memoria allora a seconda della qualità e della quantità emotiva del dato in corso, tratterrà il ricordo per una manciata di secondi (memoria sensoriale) o per una ventina di minuti (memoria breve) o per tutta la vita (memoria a lungo termine): in questo modo si formerà il nostro sapere.





Emozioni Emozioni Emozioni



 Quarto capitolo  di "Metodo Indicativo educazione emozionale scuole pubbliche "di Adriana Rumbolo

4. Emozioni! Emozioni! Emozioni!



Siamo finiti così, nel bel mezzo di una rivoluzione, nel corso della quale i confini fra materie rigidamente scolastiche e la moda, la musica, lo sport, l'arte, il trucco, tanti aspetti sociali ecc... si sono disciolti per fare posto alla più vasta interdisciplinarità unita proprio dalle emozioni .

Che accadesse nella scuola era veramente un sogno: i cervelli si sgranchivano dopo anni di separazioni e divisioni che avevano arrestato le potenzialità cognitive-emotive.

Il dialogo che ne è seguito è stato travolgente

Sembrava non aspettassero altro!

La maggior parte dei ragazzi, sperimentava per la prima volta il relazionare: quasi nessuno ci era stato abituato né in famiglia, né a scuola.

Era arrivato il momento di parlare specificatamente delle emozioni primarie: della paura, della collera, della tristezza, della gioia del disgusto.

Quando ho letto gli ultimi e gravi episodi di violenza fra gli adolescenti, mi sono chiesta se i ragazzi coinvolti avessero avuto un'occasione favorevole per conoscere meglio le proprie emozioni, comunicare i propri disagi e saper formulare una chiara richiesta d'aiuto.

Non è facile saper chiedere aiuto.

In un incontro, una studentessa di dodici anni, mentre si parlava dell'attività del cervello durante il sonno, all'improvviso: “Ho sognato che ero in difficoltà, angosciata. Volevo chiedere aiuto, ma la voce non usciva”. I sentimenti e le emozioni non vanno tenuti in silenzio o rimossi, perché allora sì che la loro azione potrebbe diventare molto pericolosa.

Quando li rassicuravo tiravano unNegare le emozioni è inutile, resteranno nell'inconscio a fare danni.

Un bambino non nasce con la consapevolezza e la conoscenza dei sentimenti, del loro manifestarsi e spesso potrebbe fraintendere quel che vede , ma anche quel che prova.

In questi errori di interpretazione si annidano a volte problematiche destinate prima o poi a esplodere, anche violentemente, rendendo più difficile l'apprendimento a scuola, il rapporto con gli altri e acuendo la difficoltà a sopportare anche le più piccole frustrazioni quotidiane.

Alcuni ragazzi, sorpresi dalle maggiori conoscenze acquisite sulle proprie emozioni continuavano a chiedermi se tutti, ma tutti, tutti, le possedessero.

Una studentessa in disparte, mi chiese se ne poteva usare almeno una (soffriva di disordini alimentari, era la prima della classe). respiro di sollievo dicendo: “anche se ho dei brutti voti a scuola il mio cervello è a posto le mie risorse ci sono”.

Sembra una piccola cosa, ma a volte andare male a scuola può creare in uno studente, molta sfiducia nelle proprie capacità, e molta insicurezza.

Con la conoscenza delle proprie emozioni, molti stavano riacquistando la fiducia persa nelle loro possibilità e forse, chissà, con l'esperienza sarebbero stati in grado di usarle in modo più produttivo, rafforzando notevolmente la loro autostima e migliorando il rapporto con l'ambiente e con gli altri.

I ragazzi una mattina hanno scritto sulla lavagna: relazionare = esistere.

Giorgio Gaber cantava: Libertà è partecipazione.

Un'insegnante mi disse: “ora finalmente ho una classe, conosco i miei ragazzi!”.

È stato uno dei complimenti più belli.

La scuola stava offrendo un'esperienza speciale, perché non avevo solo la conferma che, un ragazzo o sarebbe più esatto molti ragazzi, avevano avviato un processo di riconoscimento delle proprie emozioni e dei sentimenti alla luce delle loro esperienze.

Quando si usa il termine emozione, lo si fa nel senso più ampio del termine, includendo non solo le esperienze familiari all'uomo come ira, paura, tristezza, oltre che gioia, soddisfazione e coraggio, ma anche sensazioni basilari come piacere e dolore, nonché le “pulsioni istintuali” studiate dagli psicologi sperimentali, come fame e sete.

Il professor Robert Plutchik, un professore di psicologia all'università di Hofstra, ha proposto una classificazione fondata su otto emozioni primarie - tristezza, disgusto, ira, anticipazione, gioia, accettazione, paura, e sorpresa - che come i colori primari si possono mescolare ad altre emozioni secondarie: per

esempio, paura + sorpresa = allarme, gioia + paura = senso di colpa, e così via.

Che la classificazione di Plutchik sia confermata o no da ulteriori studi, l'idea che certe emozioni possono mescolarsi per produrne altre è interessante e suggerisce che, quando si prendono in considerazione altri fattori come l'intensità e la durata dell'emozione, si possono distinguere facilmente centinaia di stati emotivi differenziati in modo quasi impercettibile.

La scuola offriva anche un approfondimento, una discussione di gruppo con il vantaggio di far conoscere anche l'interiorità altrui così simile alla propria.

Qualche studente non completamente soddisfatto dell'incontro di gruppo, ha espresso il desiderio di un colloquio individuale

.Gli è stato accordato nel modo più informale come se l'incontro privato fosse un prolungamento di quello avvenuto a scuola.

I ragazzi hanno apprezzato questa forma; anch'io non sono sempre favorevole allo sportello.

I dialoghi erano molto vivaci, ma fin dall'inizio li avevo invitati a non parlare, in classe, di persone non presenti o di episodi troppo privati.

Per conoscere meglio, per approfondire maggiormente le emozioni, abbiamo fatto in classe simulazioni teatrali, ascoltato insieme pezzi musicali di cui loro stessi sceglievano il brano più adatto a esprimere una particolare emozione.

Qualche studente ha realizzato dei cartelloni pubblicitari per sottolinearne la grande comunicazione.

Un giorno abbiamo insieme rappresentato in una prima fase le difficoltà che un soggetto ha, quando non conosce le proprie emozioni e quindi non sa gestirle per raggiungere gli obiettivi affettivi, di lavoro, che gli stanno a cuore.

Mentre facevamo questo uno studente è intervenuto dicendo: “non gli rimane che vendersi”. Aveva capito perfettamente.

Nella seconda fase abbiamo ipotizzato che un soggetto non abituato a relazionare, per realizzarsi serenamente negli affetti e nel lavoro, cerca delle stampelle in una condizione di dipendenza affettiva rischiando così di vivere una vita senza una sua effettiva partecipazione e con gravi disagi psicologici.

Nella terza fase finalmente con il soggetto che ha maggior conoscenza del proprio patrimonio emozionale, si è potuta usare l'espressione “trattare alla pari senza un concetto di inferiorità rispetto ad altre persone”, come ha scritto una ragazza di 14 anni.

Avendo ormai i ragazzi capito quanto fosse importante il patrimonio emozionale ho detto loro che era altrettanto importante imparare a difenderlo, soprattutto da aggressioni di tipo psicologico.

Molti pensa no che gli altri siano sempre più forti, più bravi e che possano disporre di loro come meglio credono.

Questo accade spesso perché i nostri bambini sono più abituati a un tipo di educazione invasiva piuttosto che a un modello relazionale.

Dopo questo mio intervento una studentessa di 14 anni ha scritto: “ogni persona ha un suo spazio psicologico il quale non va violato senza il permesso accordato dalla persona in questione. Se questo spazio viene violato può creare nel soggetto una serie di complessi come quelli che si possono creare quando c'è un concetto di inferiorità in confronto ad altre persone”.

Io non avevo usato la parola complesso né il verbo violare, ma non avrei saputo spiegarmi meglio.

Con adolescenti di 12 anni, per spiegare quanto fosse importante tutelare il proprio spazio psicologico e creare così anticorpi contro le aggressioni di tipo emozionale, ho inventato il gioco del “toc-toc”.

Uno studente si avvicinava ad un altro e mimava il gesto di bussare.

Il soggetto che riceveva questo messaggio avrebbe dovuto abituarsi ad osservare chi bussava, a considerare la situazione ambientale e possibilmente organizzare al meglio la sua risposta. Questa è un abitudine di cui i ragazzi mancano. Sono abituati che chi gli dice di fare o non fare una cosa, non bussa, non permette loro di riflettere e soprattutto blocca la risposta non ascoltandoli.

L'ho fatto con ragazzi di 12 anni perché alcune insegnanti delle scuole medie, dopo aver conosciuto la natura della mia esperienza, hanno