martedì 18 giugno 2013

Il caso Elliot

Damasio, nella sua ricerca, scopre come lo sventurato Elliot, pur conservando appieno le sue "notevoli" capacità intellettive (tutti i test mentali per l’intelligenza e linguistici, per le convenzioni e i valori morali, per la consapevolezza, per le procedure di solving efficaci per conseguire un obiettivo sociale, per la capacità di risolvere quesito etici e finanziari sono stati brillantemente superati dal paziente), fallisce miseramente nella vita perdendo il lavoro, divorziando varie volte, lanciandosi in imprese azzardate, non ascoltando consigli, eccetera

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. Si è messo in evidenza, invece, che l’ormai famoso Elliot, che ha perduto la reattività affettiva, conserva un ragionamento "freddo" e perfettamente adeguato ad ogni circostanza, ma la lesione gli impedisce di "assegnare valori differenti a opzioni differenti" (Damasio, 1995). Anche le nostre osservazioni cliniche sui pazienti Alzheimer (Lucioni-Nappi,1998) mettono in evidenza la differenza tra emozioni ed affetti; infatti, in questi casi, troviamo una iper-eccitabilità emotiva (incontinenza emotiva) che si accompagna ad una anestesia affettiva: i pazienti vivono in sé e per sé, senza poter accedere a sentimenti di riconoscenza, di riconoscimento o comunque anche solo di importanza nei confronti di chi presta loro attenzione, assistenza e cura. In questi casi la nostra esperienza terapeutica, con la "Terapia di Integrazione Emotivo-affettiva" (E.I.T.), ha permesso un vero recupero della funzionalità affettiva che si è sempre accompagnata con un miglior controllo dell’esplosività emotiva. Lesioni del lobo anteriore o meglio il cosidetto "prefrontale" destro e/o sinistro induce deficit per la capacità di temporalizzare (verbale, per il lobo sinistro; delle immagini, per il lobo destro): perdita di memoria per l’ordine sequenziale delle esperienze. In altri termini, le strutture prefrontali permettono l’intuizione e quella elasticità mentale che consente di affrontare esperienze verbali (elasticità nella soluzione dei problemi che dipende dall’apprendimento). Il caso Ellio dimostra che le strategie affettive già apprese (passate al bagaglio conoscitivo-razionale) erano conservate, ma il paziente non era più in grado di adeguare strategie nuove per rispondere a situazioni diverse: il soggeto riconosce il proprio errore (capacità deduttivo-intellettiva), ma è incapace di cambiare procedure; in altre parole, non riesce ad apprendere dall’errore. Nauta (1971) ha cercato di studiare le connessioni delle strutture corticali prefrontali, dimostrndo che queste si connettono con quasi tutte le altre aree corticali, ma soprattutto riceve un fascio dal nucleo DM del talamo (che non manda vie a nessuna altra area corticale); inoltre, ha dimostrato come le aree prefrontali sono unite, in modo reciproco, con il sistema limbico e con l’ipotalamo. Si dimostra, in questo modo, che la funzione principale delle strutture prefrontali è quella di associare le esperienze somestesiche, visive ed uditive con l’imput emozionale proveniente dal sistema limbico e dall’ipotalamo. Le lesioni delle strutture prefrontali causa deficit funzionali nel piano affettivo e motivazionale, producendo mutamenti del carattere sfavorevoli ed instabili. Se la funzione del sistema prefrontale fosse esclusivamente quello di controllare le emozioni messe in moto nelle strutture limbiche, divremmo concludere che si è utilizzato una enorme struttura per una funzione di proporzioni minime. Per altro lato, una neo-struttura (la neo-corteccia) presuppone una funzione molto più sviluppata, molto più gerarchizzata, che appunto scopriamo analizzando per esempio il caso di Elliot: la corteccia prefrontale diventa sinonimo di creatività e di adattabilità dinamica. Questa asserzione crea molte aspettative, dal momento che ha una interfaccia psicologica che abbiamo legato all’affettività e che trova il suo agire nel mediare tra l’impulsività delle emozioni e la rigidità e la previsibilità del ragionamento. Il sistema limbico è in stretta correlazione con la corteccia prefrontale soprattutto attraverso le vie che hanno come centro di passaggio il Talamo Dorsomediale, anche se recentemente sono state individuate vie dirette dall’ippocampo e dall’amigdala. Queste vie di connessione diretta con la corteccia prefrontale non sono evidenziabili in rapporto con altre aree corticali, così la corteccia frontale può essere considerata il vero centro di modulazione e di controllo del sistema limbico. Ciò significa che per mezzo della corteccia prefrontale il soggetto può esercitare un controllo sulle emozioni generate dal sistema limbico. Analizzando un complesso sistema di connessioni Eccles (1981) conclude: "… si può pensare alla corteccia prefrontale come ad un’area in cui ogni informazione emotiva viene sintetizzata con l’informazione somoestesica, visiva ed uditiva, per dare esperenze coscienti al soggetto e indicazioni per un comportamente adeguato. Si potrebbe anche immaginare che la funzione prefrontale si strutturi come trait d’uniòn tra corporale e mentale, come se la parola "affettiva" del funzionamento mentale si presentasse come relazione evolutiva tra tensione emotiva ed un vissuto che risulta rappresentato come storico (la parte esperienziale), pensato (la parte ragionativa) e raccontato (la parte dialogico-simbolica). Nella osservazione di Damasio ("Elliot ha perso la capacità di imparare dall’esperienza") risulta implicita una funzione importantissama: Sistema Sistema Sistema emotivo affettivo razionale limbico prefrontale per la quale l’affettività attinge dall’esperienza istintiva, immediata ed impulsiva (mentre esercita una funzione di controllo e di modualazione) e, per altro, la ragione attinge dall’affettività una forza creatrice ed integratrice (mentre a sua volta funge da sistema di regolazione). Il sociopsicologo Robert Zajonc (1980) ha dimostrato che emozione e cognizione sono due funzioni mentali distinte e che l’emozione precede la cognizione e non ne dipende, concludendo, quindi, che le preferenze possono formarsi senza alcuna registrazione cosciente degli stimoli. Le sue ricerche hanno messo fine ad una lunghissima diatriba sostenuta dai cognitivisti che ritenevano l’intervento della coscienza determinante per la formazione del sentimento.

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