martedì 27 luglio 2010

Già relaziona




Già relaziona


Ho presentato 10 anni fa un programma per ragazzi (12/16 anni), finalizzato alla loro presa di coscienza, alla conoscenza delle emozioni, dei sentimenti e del relazionare
Ai ragazzi quasi nessuno gliene parla, mentre queste conoscenze, sono indispensabili per la vita relazionale affettiva e di lavoro
Se non c’è questa consapevolezza potremmo essere come foglie al vento, confusi, incapaci di una soddisfacente comunicazione, soggetti a scorribande emotive a danno nostro e altrui
Quando ho presentato il mio progetto, la bibliografia non mi è stata di aiuto
Sarebbe stata solo la risposta dei ragazzi a suggerirmi se stavo andando nella direzione giusta
Ero confortata dagli ultimi risultati che neuroscienziati italiani e stranieri (Damasio, Ledoux, Rizzolatti, etc...) divulgano sempre con maggior chiarezza e frequenza sul “cervello emotivo” Credo che nel mio programma 2 sono i temi innovativi.
Il primo fornire, ai ragazzi informazioni scientifiche, finalizzate alla presa di coscienza e allo scopo ultimo di trovare le adeguate corrispondenze tra mente, cervello e comportamento
Il secondo che i ragazzi fossero i diretti interlocutori
E’ necessario che in un percorso educativo di crescita il soggetto, in questo caso il ragazzo, sia partecipativo.
Ai ragazzi era piaciuto molto essere loro stessi i diretti interlocutori.
Finalmente non avevano intermediari nel conoscersi e nell’interpretare il proprio sentire
Mentre parlavo li guardavo cercando nei loro occhi la conferma che capissero bene quanto dicevo e che ognuno lo stesse confrontando con le proprie esperienze, con i propri ricordi, con il proprio vissuto
Sicuri di essere ascoltati ,compresi e non giudicati ,hanno iniziato con me, l’insegnante presente e il gruppo dei pari un dialogo
La maggior parte dei ragazzi sperimentava per la prima volta il ”relazionare”; quasi nessuno ci era stato abituato né in famiglia né a scuola.
Ho sperato che da questi dialoghi in cui gli studenti erano parte attiva, potessero piano, piano uscirne rafforzati nell’identità e nell’autostima
Hanno facilmente capito che ognuno ha tempi e percorsi emozionali propri
Hanno compreso che, piano piano, si può smettere di avere paura (dei
compagni, delle aspettative altrui, di rimanere fuori dal gruppo etc…) e che non bisogna confondere la forza con la violenza, perché il bullo non è il ragazzo più forte, ma spesso un soggetto momentaneamente con gravi disordini comportamentali e che si può chiedere aiuto
Gli incontri della durata di 2 ore intervallati da due o tre settimane, di solito ,non erano meno di sei, in modo che la nostra frequentazione durasse più di metà dell’anno scolastico.
Entravo a volte con loro al suono della campanella ,mi scorgevano passare nei corridoi, sapevano che nel rispetto reciproco potevamo sempre trovare due minuti per parlare.
Mi auguravo che i ragazzi capissero bene che quanto facevamo apparteneva al quotidiano, alla normalità di tutti i giorni
Perchè questa esperienza a scuola?
Perchè la scuola riunisce moltissimi ragazzi e per lungo tempo e potrebbe offrire ai molti bambini che non hanno goduto del calore e della regolazione emozionale dei genitori una seconda opportunità di sviluppare il cervello sociale ed emozionale.
Non sarei mai potuta entrare in una scuola pubblica ,se non mi avessero aperto la porta alcuni insegnanti.
Senza la sensibilità, la curiosità, l’interesse scientifico di questi insegnanti io non sarei mai potuta entrare.
Gli insegnanti hanno letto il mio programma, l’hanno proposto al consiglio di classe e mi hanno ospitata in classe nelle loro ore di lavoro perché la scuola e i ragazzi potessero usufruire di questo servizio, senza creare nessun disagio organizzativo.
Con gli insegnanti ho sempre collaborato e loro hanno cercato di portare un grande contributo, realizzando una proficua sinergia tra il mio programma e le loro discipline accrescendo così il valore dell’esperienza
La risposta dei ragazzi, dava segni di crescita psicologica (miglior rendimento, migliore comportamento, meno ansia, meno paure, miglior rapporto con il proprio corpo…) e al contempo ci siamo accorti che si stava verificando anche una nostra crescita
Necessari, per completare l’esperienza e per confermare quanto sia utile la collaborazione tra scuola e famiglia, se ben condotta, sono stati gli incontri con i genitori.
Qualche tempo fa ho sentito in un intervista la fidanzata di un ragazzo delle c.d. “bestie di satana” che ha detto: ”Io allora al tempo in cui accadevano cose terribili, ero come lo specchio del mio ragazzo; non esistevo per me stessa ma come lui mi vedeva, come gli altri mi dicevano di fare, come gli altri mi dicevano di essere.
Ora io ho preso coscienza di me e saprei decidere in modo diverso”.
Io mi sono riferita ad un fatto di cronaca, ma queste cose che accadono purtroppo frequentemente dovrebbero farci riflettere.
Riprendendo il titolo del mio libro che si riferisce alla mia esperienza: ”Io
non ti salverò” (Ed. Del Cerro 2004), perché non ho l’onnipotenza ma mi
piacerebbe che ogni ragazzo potesse prendere coscienza di sé, prima di
essere coinvolto in gravi fatti tali da condizionare tutta la loro vita e quella
altrui.

Adriana Rumbolo

Il cervello nella scuola.Così è cominciata la mia esperienza nella scuola.

[15/06/2009]

Tutto è cominciato in una tranquilla mattina di novembre.
Una classe aspetta pronta alla difesa di immagine: perché questi incontri? Non siamo mica matti!
Noi non abbiamo problemi!
Di colpo la novità: non sarebbero stati sottoposti a test, né osservati, giudicati, catalogati, ma gli
sarebbe stato offerto un mare di informazioni “scientifiche” sul cervello, dove ognuno avrebbe
potuto attingere a seconda dei propri bisogni, dei dubbi da chiarire, delle curiosità a cui rispondere e con il diritto alla parola.
Sì, gli è stato anche detto che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto delle regole di una buona convivenza: l’ hanno trovato un patto accettabile.
E la storia del cervello è iniziata: interessante, veloce, con precisi riferimenti alle funzioni che svolgeva via via che proseguiva nel suo percorso antropologico. (La teoria dei tre cervelli di Paul MacLean: il cervello rettile, emotivo, neocorteccia o cervello pensante).
Un documentario sull’evoluzione umana, divulgato in televisione da Piero Angela, racconta quando l’ uomo pianse per la prima volta alla morte della compagna.
Forse è stato il “vagito” del cervello emotivo, oppure no, ma è stato bello immaginarlo.
I ragazzi stentano a credere che le loro emozioni, a cui non attribuivano né un’esistenza né un nome, abbiano sede soprattutto nel cervello e soprattutto che tutti le abbiano.
"Ah! Si chiamano emozioni!" quelle reazioni a volte chiare, a volte confuse, a volte incontrollabili: scatti improvvisi di rabbia, entusiasmo ingestibile, timidezza insuperabile, paure, desideri "tutto e subito", aggressività esplosiva che spaventa e il bisogno sempre e comunque di comunicare.
… E le emozioni, come si mostrano?
Scrive Damasio: "Le emozioni usano il corpo come teatro…".
Capita proprio in classe un episodio che ci aiuta a comprenderlo. Entrano due ragazzi di una sezione diversa per dare una informazione.
Una studentessa alla vista dei due e in particolare di uno dei due, scompare dentro il banco. Quando, finita la comunicazione, i ragazzi se ne vanno, la studentessa dai lunghi capelli ricci, riemerge tutta rossa in volto.
I compagni ridono, ma vengono subito bloccati, perché c’è una dimostrazione in corso: la visibilità della grande emozione è espressa in parte dal rossore del viso della fanciulla, rossore che da quel momento avrà il diritto di cittadinanza tra i banchi di scuola.
Poi nella studentessa ci sarà un rientro dell’emozione che la coscienza trasformerà in sentimento.
Era arrivato il momento di parlare specificatamente delle emozioni primarie: paura, rabbia,
tristezza, gioia, disgusto, sorpresa.
Queste inclinazioni biologiche presenti fin dalla nascita e forse anche prima, necessarie alla
sopravvivenza e protagoniste della comunicazione, non sfuggono all’influenza dell’esperienza
personale della cultura.
Proprio nella socializzazione potrebbero verificarsi sofferenze emozionali che potrebbero esprimersi in indifferenza, disinteresse, inattività, comportamenti a rischio per se stessi e gli altri,
disturbi della memoria e del giudizio.
Scrive LeDoux: "Ci vuole igiene emotiva per conservare la salute mentale e i disturbi mentali riflettono per lo più un ordine emotivo infranto".
Ora per i ragazzi è facile collegare i "disordini emozionali" e tanti loro malesseri. Ecco perché mi sudano le mani, ecco perché sbatto gli occhi, ecco perché non riesco a riportare per il cambio un acquisto difettoso e le tante paure sociali: paura di perdere il proprio passato (sindrome di Pollicino), paura di non essere all’altezza delle aspettative degli altri… paura di non poter dire la propria opinione o di non potersi ribellare a qualcosa o a qualcuno etc.
Scrive uno studente di 15 anni: "la paura sociale è quella cosa che primeggia nei nostri cervelli…" Finalmente prendendo coscienza di sé è come se fossero entrati nel loro castello dove la conoscenza scientifica ha sostituito l’elettricità.
Scriveva Pirandello: "E la chiaria cresceva, cresceva…". E poi la neocorteccia.
Ai ragazzi è stata descritta come un casco, termine a loro familiare, che avvolge il cervello con numerose e profonde pieghe e ha anche questo compito meraviglioso: raccogliere tutte le nostre conoscenze, le nostre esperienze.
Però il cervello non può fissare tutti i dati che gli arrivano, sono troppi.
La memoria allora a seconda della qualità e della quantità emotiva del dato in corso, tratterrà il ricordo per una manciata di secondi (memoria sensoriale) o per una ventina di minuti (memoria breve) o per tutta la vita memoria a lungo termine): in questo modo si formerà il nostro sapere.
Le nuove conoscenze li avevano rassicurati e l’autostima era cresciuta.
Il pensiero si intreccia con l’emozione e le emozioni scorrono nel corpo nell’inscindibilità mentecorpo e poi tutta l’unità mente-cervello-corpo può favorire una vita più cosciente e piena e soprattutto nei soggetti in crescita la prevenzione di varie forme di disagio che spesso avvicinano i ragazzi a scorciatoie facili e facilmente disponibili: alcool, droga, piccola criminalità etc.

Ora i ragazzi scrivevano sulla lavagna
relazionare = esistere.

Bibliografia
A.R.Damasio "Emozione e Coscienza"
Adelphi
J.LeDoux "Il cervello emotivo"
Baldini Castaldi Dalai editore
L. Pirandello "Novelle per un anno"
A. Mondatori editore
A.Rumbolo "Io non ti salverò"
Ed. Del Cerro
Sitografia:
Parallel Memories: Putting Emotions Back Into The Brain
A Talk With Joseph LeDoux [2.17.97]
http://edge.org/3rd_culture/ledoux/ledoux_p1.html [1]
CNFA - Center for Neuroscience of Fear and Anxiety
www.cns.nyu.edu/CNFA/ [2]
LeDoux Laboratory
www.cns.nyu.edu/home/ledoux/ [3]
António Rosa Damásio
www.usc.edu/programs/neuroscience/faculty/profile.php?fid=27 [4]
Brain and Creative Institute - University of California
www.usc.edu/schools/college/bci/ [5]
Source URL:
http://www.lswn.it/miscellanea/articoli/il_cervello_nella_scuola
Links:
[1] http://edge.org/3rd_culture/ledoux/ledoux_p1.html
[2] http://www.cns.nyu.edu/CNFA/
[3] http://www.cns.nyu.edu/home/ledoux/
[4] http://www.usc.edu/programs/neuroscience/faculty/profile.php?fid=27
[5] http://www.usc.edu/schools/college/bci/
Pubblicato da Le Scienze Web News (http://www.lswn.it) - 2000-2009 © LSWN.itcreative
commons by-nc-sa 2.5 ISSN 1827-8922

Adolescenza. Occhio alle emozioni



Un’esperienza, unica in Italia, condotta in scuole pubbliche (97/98-2006/7) ispirata agli ultimi risultati delle neuroscienze sul cervello emotivo, con studenti di 12/16 anni.
Ascoltiamo le loro esigenze emotive e sarà anche prevenzione contro droghe, alcool, piccola criminalità

Sono entrata a scuola fra gli adolescenti: una massa colorata, vociante, corpi dondolanti su zeppe altissime.

E’ arrivata l’adolescenza

E’ arrivata l’adolescenza: il cervello non cresce più,
aumenta la sua velocità e si perfeziona la sua abilità.

Da un fatto di cronaca :un gruppo di adolescenti ha deciso di sottoporsi alla prova-sfida di attraversare l’autostrada in pieno traffico