lunedì 20 ottobre 2014

La pelle in psicoanalisi


Jorge Ulnik. "La pelle in psicoanalisi"
Astrolabio Ubaldini Editore, Roma 2011

A cura Dennis Linder

Secondo  lo  psicoanalista  Didier  Anzieu  ogni  funzione  psichica  si  svilupperebbe appoggiandosi  a  una  funzione  corporea  il  cui  meccanismo  è  trasposto  sul  piano  mentale.

L’apparato psichico si svilupperebbe attraverso stadi successivi di rottura con le proprie basi biologiche, rotture  che  da  un  lato  rendono  possibile  lo  “sfuggire”  alle  leggi  biologiche  e dall’altro,  rendono  necessaria  l’individuazione  di  un  rapporto  anaclitico  tra  ogni  funzione psichica  e  ogni  funzione  corporea.  Questo  genere  di  letture  interpretative  del  rapporto  tra mente e corpo rendono possibile e sostenibile l’utilizzo, nella pratica clinica dermatologica, di terminologie e concetti propri della psicoanalisi.
Il  dermatologo  clinico  che,  insoddisfatto  per  le  frustrazioni  derivanti  da  una  pratica clinica limitata al classico percorso “semeiotica – diagnosi – terapia”, ambisca a voler meglio comprendere il paziente, tenendo in debito conto l’interazione tra fattori psicologici, sociali e biologici,  deve  destreggiarsi  tra  due  diverse  esigenze:  da  un  lato,  quella  di  praticare  una medicina scientifica rigorosamente basata sulle prove di evidenza; e dall’altro, quella posta dalla crescente domanda di una medicina orientata verso il bisogno del paziente, che tenga in debito conto gli aspetti individuali, non misurabili della malattia. È difficile imparare ad attribuire di volta in volta alle componenti “umanistiche” della medicina  il  loro  giusto  peso  nella  pratica  clinica;  il  percorso  è  insidioso,  è  necessario cautelarsi  da  facili  entusiasmi  e  dal  fascino  ingannevole  di  simbolizzazioni  e  associazioni mentali a volte del tutto irrazionali.  Quando infatti ci si avvale, senza basarsi su di un solido costrutto teorico, di processi di pensiero puramente associativi (come, per esempio, attribuire alla rappresentazione psichica della cute – essendo la cute “confine fisico” del corpo – una funzione di confine o barriera della rappresentazione dell’io) ci si espone al rischio di vedere delegittimata  scientificamente  una  interpretazione  delle  malattie  cutanee  che  vada  al  di  là della semplice visione meccanicistica del corpo. La soddisfazione, per chi riesce soddisfare entrambe le esigenze di cui sopra, mantenendo una lucidità “clinica”, è però inaspettatamente grande;  si  vede  aggiunta letteralmente  una  nuova  dimensione  all’esperienza  clinica  del medico,  il  quale  vede  un  mondo  inizialmente  in  bianco  e  nero  prendere  improvvisamente colore  (come  nel  poetico  film  Pleasantville)  e  arricchirsi  di  significati  la  cui  esistenza  era sinora rimasta insospettata.
Il libro dello psichiatra e psicoanalista e docente universitario argentino Jorge Ulnik, La pelle in  psicoanalisi,  aiuta  ad  orientarsi  in  questo  difficile  percorso.  La  prima  parte  del  volume comprende un compendio di quanto di più importante è stato scritto da Freud, Anzieu e altri psicoanalisti sulla “pelle psichica”, compendio arricchito  dalle riflessioni dell’autore su tali lavori;  seguono  interessanti  osservazioni  sui  vari  livelli  di  simbolizzazione  della  cute, sull’effetto placebo e l’interpretazione della malattia da parte del paziente (e il rapporto tra questi due ultimi elementi), considerazioni sull’attaccamento, lo schema corporeo e le lesioni auto-inflitte. Nella seconda parte del libro le riflessioni teoriche dell’autore sono corroborate da una preziosa e vasta scelta di casi clinici, derivante dalla grande esperienza di Ulnik con pazienti in analisi affetti da malattie della cute.  L’autore, infatti, è stato a lungo consulente in un  reparto  dermatologico  di  Buenos  Aires,  dove  ha  trattato  come  psicoanalista  moltissimi pazienti affetti da psoriasi e altre malattie infiammatorie cutanee. 
Per  il  dermatologo  clinico  l’aprirsi  alla  dimensione  psicoanalitica  della  malattia cutanea non è tuttavia solo motivo di soddisfazione personale e non è unicamente dettato dalla necessità di offrire un’assistenza medica più “orientata verso le necessità del paziente”. In un articolo recentemente comparso su “Clinics in Dermatology”, Ulnik stesso ricorda che vi sono almeno  cinque  motivi  per  i  quali  una  “lettura” psicoanalitica  può  contribuire  alla  buona riuscita di una consultazione dermatologica:  Tale lettura infatti:

1) stabilisce il livello di funzionamento psicologico/psichiatrico durante la consultazione;
2)  aiuta  a  identificare  il  genere  di  conflitti  ed  emozioni  inconsci  che  il  paziente  esprime
attraverso i propri sintomi;  3) permette di scoprire i meccanismi di difesa che il paziente utilizza per venire a patti con la realtà, lo stress e la malattia;
4)  facilita  scelte  terapeutiche  che  tengono  conto  delle  preferenze  inconsce  e  dei  significati
delle prescrizioni mediche;
5)  favorisce  una  maggiore  attitudine  a  un  costante  miglioramento  del  rapporto  medico
paziente.

“La pelle in psicoanalisi “ si presenta quindi, come scrive Peter Chapman, non tanto come  un  “libro  perfettamente  compiuto”,  quanto  come  un  “compendio  vivace  e  pieno  di eccitazione” che “testimonia l’entusiastica preoccupazione dell’autore verso il proprio campo e verso i pazienti in terapia”.  Tale preoccupazione dovrebbe esistere tuttavia non solo in ogni psicologo o psicoanalista (psicologi e psicoanalisti sono ovviamente i lettori cui per primi è destinata  l’opera),  ma  dovrebbe  idealmente  esser  presente  in  ogni  dermatologo  clinico  che ambisca a curare il paziente e non solo a “reprimere” i sintomi fisici della malattia. La lettura del libro di Ulnik fa sperare che l’entusiasmo, l’apertura mentale e la disponibilità dell’autore a rimettersi in gioco davanti a ogni nuovo paziente, a riconoscerne l’individualità e l’unicità del  carattere  e  della  storia  clinica  e  personale,  stimolino  lo  specialista  di  ogni  branca  della
medicina a voler praticare un’attività clinica più completa. In tal modo ogni incontro con il paziente diviene, per il paziente, un atto terapeutico efficace di per sé,  capace di ridurre la sofferenza  del  malato,  ma  anche,  per  il  clinico,  un’occasione  per  meglio  comprendere  i meccanismi della malattia e per progredire nella propria crescita interiore.

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