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Le istituzioni devono rilegittimarsi o verranno cambiate da fuori. E lo stesso vale per i media». Da sociologo catalano cresciuto nel movimento studentesco antifranchista, Manuel Castells nota che «ci sono troppi esclusi e Internet li rende consapevoli e dà loro un mezzo che non avevano». A Berna, per ricevere il Premio Balzan, il professore dell’University of Southern California e autore di «Reti di indignazione e speranza» (Università Bocconi editore) non vede pericoli provenienti dal Web: «E’ un mondo nato libero e l’unico rischio è che non continui così. I giganti Google e Facebook ora sono alleati per la libertà, perché gli serve traffico, ma un domani potrebbero cambiare». E i nemici attuali? «I governi per il controllo e le grandi aziende per fini commerciali. Ma ci sono tanti hacker che lavorano per difenderci».
Castells sottolinea la differenza tra controllo e sorveglianza: «Su Internet non c’è privacy e sta alla gente pretenderla dai legislatori. Per ora i governi spiano e le compagnie cercano i dati. Ma una cosa è il controllo, cioè la possibilità di bloccare il flusso di comunicazione. Altro è la sorveglianza. Internet si può monitorare sempre, ma si riesce a limitare solo per pochi giorni. Cinque in Egitto, tre in Iran, quasi mai in Cina».
Quanto alle conseguenze della Rete sulla memoria e sulla personalità, Castells smentisce quelli che trova luoghi comuni e vecchi modi di ragionare: «Miliardi di tweet vengono archiviati dalla Libreria del Congresso Usa. Viviamo nell’epoca più registrata della storia. E’ una sfida e quel che ci manca, forse, è la capacità di adattarci ai cambiamenti. Ma saranno i giovani a innovare e trovare nuovi equilibri».
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