Dai ghiacci dell’Islanda ai deserti del Medioriente
passando per i grattacieli di New York: questa volta il fantasma che al
tempo di Marx si aggirava per l’Europa imperversa nel mondo e, oggi, non
è più un fantasma, ma una rivoluzione vera e propria. Tunisia, Egitto,
Usa, Islanda, Bahrain, Marocco, Algeria, Libia...la mappa mondiale è
tappezzata di movimenti sociali che sfidano il potere delle istituzioni
per ridare ossigeno alla speranza con la fiducia delle reti online e
della piazza.
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È l’affresco che Manuel Castells, emerito sociologo spagnolo e figura di prua nella ricerca sulla società dell’informazione, ha delineato nella sua nuova opera, Reti di indignazione e speranza (Egea, 2012, pagg. 270, 25 Eu).
È anche una piccola rivoluzione per lo stesso Castells, come egli stesso spiega nell’introduzione. Infatti si tratta di un’opera sviluppata da un ciclo di conferenze a Cambridge su I movimenti sociali nell’era di Internet. Quindi è un libro che si focalizza sulla comprensione di una fenomenologia in atto, scritto in appena quattro mesi, un lampo rispetto ai cinque anni che impiegava Castells per i suoi precedenti libri, profondamente imbevuti di teoria e astrazione. Ecco quindi che Reti di indignazione e speranza si propone come il manuale ragionato sulle rivoluzioni del terzo millennio, un libro al loro interno e perciò figlio legittimo di questo fermento sociale.
Come recita un antichissimo proverbio cinese, viviamo in tempi interessanti, cioè contraddistinti da decostruzioni, trasformazioni e tentativi di nuove costruzioni. È questo il senso dei continui riferimenti dell’Autore ad un’epoca, la nostra, dove all’improvviso "tutto sembra possibile”.
Abbattere in soli 18 giorni la tirannia di 24 anni e nonostante ciò non fermarsi perché la democrazia è ancora lontana – è successo in Egitto. Ma anche in Tunisia, in Islanda, in Egitto, negli Usa, in Bahrain, in Algeria, in Marocco, in Libia… E’ una protesta, un fermento, un movimento sociale che conquista la geografia salendo dal locale al nazionale e poi arrivando al globale. Sono movimenti sociali globali che scaturiscono da azioni individuali, raccolte dal web e capaci di diffondersi come un virus nelle menti, nei corpi e nella società. A New York come a Tunisi.
Solo fino a pochi anni fa il mondo era segnato dalla paura, dal terrore e dal terrorismo. La risposta, quella dei grandi poteri e per dirla con Castells, delle grandi reti politiche e mediatiche, era la guerra. Poi con Obama è emersa la politica della speranza e col social web la speranza ha iniziato a neutralizzare la di-sperazione, il senso di impotenza e la perdita della dignità personale. Oggi islamici e occidentali sono dalla stessa parte del fronte, uniti per ritrovare una democrazia fondata sulla dignità della persona, a prescindere da ideologie e programmi, da elezioni e leaders.
Sia chiaro che Castells non è un cantore del web che cambia il mondo. La sua teoria della comunicazione è fondata su una solida teoria del potere, quello duro, che forgia le istituzioni con il controllo dei valori sociali e usa la coercizione fisica legittima (lunga vita a Max Weber!) per difendere quelle istituzioni ma soprattutto quei valori. Dunque i movimenti sociali si pongono come contropotere che sfida il potere costituito costruendo simboli e valori alternativi. Da Occupy Wall Street agli Indignados spagnoli i movimenti sociali recuperano e ridistribuiscono la fiducia pubblica tra le persone. Lottare per la propria dignità e ritrovare fiducia nella sfera pubblica: ecco le scintille delle rivoluzioni del terzo millennio.
Il web diventa l’amplificatore e il moltiplicatore. Ma è non la causa prima, come invece spesso si sente riecheggiare nel senso comune. Il web è fondamentale ma solo insieme all’altro fattore, che è l’occupazione fisica di uno spazio sociale. Zuccotti Park a New York e Tahrir Square al Cairo esemplificano questa caratteristica dei movimenti sociali. Ma allo stesso tempo, in questi spazi occupati non scattano forme effettive di autogestione collettiva. Si sta insieme, perché “insieme” diventa la modalità sociale primaria. Come stare insieme, come governare questi spazi occupati, diventa una spina che punge le contraddizioni dei movimenti sociali.
Oltre all’occupazione, alla contro-comunicazione, alla resistenza pacifica fino all’abbattimento delle tirannidi, cosa possono fare i vari movimenti di Occupy o gli indignados? Per paradosso, è più facile fare la rivoluzione che non le riforme; è più facile coordinarsi con sms e tweets che non stabilire un processo decisionale. Infatti i movimenti sociali raccontati da Castells sono amorfi, privi di leadership, scevri di ideologie e incapaci di formulare programmi. Figurarsi diventare forza politiche “convenzionali”.
Tra mettere in scacco i grandi poteri e finire sotto scacco dei propri limiti, queste reti d’indignazione e speranza riescono a rigenerare un attaccamento alla politica che sa di miracolo. Per citare uno dei passi più significativi del libro di Castells, e per fare anche sentire quanto sia vibrante il suo tono “umanista”, i partecipanti dei movimenti sociali “hanno creduto nel loro diritto a credere. Hanno raccolto se stessi. Hanno raccolto il sale della terra”.
Dignità, attivismo, fiducia: è un unico virus che gira intorno al mondo e attacca i regimi fondati sull’impoverimento della persona, morale e materiale. In un mondo dove la follia è il potere dell’establishment, l’indignazione può essere una follia ancora più grande e perciò capace di riaccendere la speranza. Il libro di Castells racconta proprio come questa speranza non sia più una follia.
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È l’affresco che Manuel Castells, emerito sociologo spagnolo e figura di prua nella ricerca sulla società dell’informazione, ha delineato nella sua nuova opera, Reti di indignazione e speranza (Egea, 2012, pagg. 270, 25 Eu).
È anche una piccola rivoluzione per lo stesso Castells, come egli stesso spiega nell’introduzione. Infatti si tratta di un’opera sviluppata da un ciclo di conferenze a Cambridge su I movimenti sociali nell’era di Internet. Quindi è un libro che si focalizza sulla comprensione di una fenomenologia in atto, scritto in appena quattro mesi, un lampo rispetto ai cinque anni che impiegava Castells per i suoi precedenti libri, profondamente imbevuti di teoria e astrazione. Ecco quindi che Reti di indignazione e speranza si propone come il manuale ragionato sulle rivoluzioni del terzo millennio, un libro al loro interno e perciò figlio legittimo di questo fermento sociale.
Come recita un antichissimo proverbio cinese, viviamo in tempi interessanti, cioè contraddistinti da decostruzioni, trasformazioni e tentativi di nuove costruzioni. È questo il senso dei continui riferimenti dell’Autore ad un’epoca, la nostra, dove all’improvviso "tutto sembra possibile”.
Abbattere in soli 18 giorni la tirannia di 24 anni e nonostante ciò non fermarsi perché la democrazia è ancora lontana – è successo in Egitto. Ma anche in Tunisia, in Islanda, in Egitto, negli Usa, in Bahrain, in Algeria, in Marocco, in Libia… E’ una protesta, un fermento, un movimento sociale che conquista la geografia salendo dal locale al nazionale e poi arrivando al globale. Sono movimenti sociali globali che scaturiscono da azioni individuali, raccolte dal web e capaci di diffondersi come un virus nelle menti, nei corpi e nella società. A New York come a Tunisi.
Solo fino a pochi anni fa il mondo era segnato dalla paura, dal terrore e dal terrorismo. La risposta, quella dei grandi poteri e per dirla con Castells, delle grandi reti politiche e mediatiche, era la guerra. Poi con Obama è emersa la politica della speranza e col social web la speranza ha iniziato a neutralizzare la di-sperazione, il senso di impotenza e la perdita della dignità personale. Oggi islamici e occidentali sono dalla stessa parte del fronte, uniti per ritrovare una democrazia fondata sulla dignità della persona, a prescindere da ideologie e programmi, da elezioni e leaders.
Sia chiaro che Castells non è un cantore del web che cambia il mondo. La sua teoria della comunicazione è fondata su una solida teoria del potere, quello duro, che forgia le istituzioni con il controllo dei valori sociali e usa la coercizione fisica legittima (lunga vita a Max Weber!) per difendere quelle istituzioni ma soprattutto quei valori. Dunque i movimenti sociali si pongono come contropotere che sfida il potere costituito costruendo simboli e valori alternativi. Da Occupy Wall Street agli Indignados spagnoli i movimenti sociali recuperano e ridistribuiscono la fiducia pubblica tra le persone. Lottare per la propria dignità e ritrovare fiducia nella sfera pubblica: ecco le scintille delle rivoluzioni del terzo millennio.
Il web diventa l’amplificatore e il moltiplicatore. Ma è non la causa prima, come invece spesso si sente riecheggiare nel senso comune. Il web è fondamentale ma solo insieme all’altro fattore, che è l’occupazione fisica di uno spazio sociale. Zuccotti Park a New York e Tahrir Square al Cairo esemplificano questa caratteristica dei movimenti sociali. Ma allo stesso tempo, in questi spazi occupati non scattano forme effettive di autogestione collettiva. Si sta insieme, perché “insieme” diventa la modalità sociale primaria. Come stare insieme, come governare questi spazi occupati, diventa una spina che punge le contraddizioni dei movimenti sociali.
Oltre all’occupazione, alla contro-comunicazione, alla resistenza pacifica fino all’abbattimento delle tirannidi, cosa possono fare i vari movimenti di Occupy o gli indignados? Per paradosso, è più facile fare la rivoluzione che non le riforme; è più facile coordinarsi con sms e tweets che non stabilire un processo decisionale. Infatti i movimenti sociali raccontati da Castells sono amorfi, privi di leadership, scevri di ideologie e incapaci di formulare programmi. Figurarsi diventare forza politiche “convenzionali”.
Tra mettere in scacco i grandi poteri e finire sotto scacco dei propri limiti, queste reti d’indignazione e speranza riescono a rigenerare un attaccamento alla politica che sa di miracolo. Per citare uno dei passi più significativi del libro di Castells, e per fare anche sentire quanto sia vibrante il suo tono “umanista”, i partecipanti dei movimenti sociali “hanno creduto nel loro diritto a credere. Hanno raccolto se stessi. Hanno raccolto il sale della terra”.
Dignità, attivismo, fiducia: è un unico virus che gira intorno al mondo e attacca i regimi fondati sull’impoverimento della persona, morale e materiale. In un mondo dove la follia è il potere dell’establishment, l’indignazione può essere una follia ancora più grande e perciò capace di riaccendere la speranza. Il libro di Castells racconta proprio come questa speranza non sia più una follia.
Gabriele Cazzulin
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