ABSTRACT
Ancora un libro, quello di Edoardo Boncinelli, che ordina una serie di contributi resi dal biologo italiano ne Il cervello, la mente e l’anima pubblicato da Mondadori nel 1999 e in Genoma il grande libro dell’uomo,
sempre pubblicato dallo stesso Editore in Milano nel 2001. L’uno e
l’altro figurano adesso tra i Classici del Pensiero così da conferire
allo studioso italiano
Continua a leggere
un riconoscimento più che meritevole per aver aperto il capitolo della biologia cellulare e molecolare, della neurofisiologia e della psicologia sperimentale volti ad arricchire il quadro delle conoscenze sul cervello umano, dando ragione di un interesse sempre crescente nella ricerca in cui si muovono anche le scienze umanistiche. Fa eco al discorso che si andrà a sviluppare di seguito anche il lavoro di Y. Rifkin La civiltà dell’empatia (Milano 2010) del quale converrà parlare più estesamente in altra occasione, ma che qui lascia risuonare significati che si collegano all’amore, alla coscienza, alla relazione interpersonale.
Continua a leggere
un riconoscimento più che meritevole per aver aperto il capitolo della biologia cellulare e molecolare, della neurofisiologia e della psicologia sperimentale volti ad arricchire il quadro delle conoscenze sul cervello umano, dando ragione di un interesse sempre crescente nella ricerca in cui si muovono anche le scienze umanistiche. Fa eco al discorso che si andrà a sviluppare di seguito anche il lavoro di Y. Rifkin La civiltà dell’empatia (Milano 2010) del quale converrà parlare più estesamente in altra occasione, ma che qui lascia risuonare significati che si collegano all’amore, alla coscienza, alla relazione interpersonale.
Questo
intervento di Lanfranco Rosati, assunto dalle più attuali ricerche
compiute dall’Autore in questi ultimi anni sui meccanismi cerebrali,
fornisce uno spaccato sull’importanza che sono venute ad assumere le
neuroscienze sul piano della didattica e quindi dell’insegnamento e
dell’apprendimento in cui hanno operato una vera rivoluzione.
Introduzione
La
frontiera della ricerca nel settore umanistico è quella indicata dalle
scoperte, pressoché quotidiane, di gruppi di ricercatori stranieri che
trovano una eco nelle Riviste di settore, prevalentemente in inglese, ma
anche in italiano, come Nature, Le Scienze e Mente & Cervello, compreso il volume che è stato indicato in apertura.
Perché
le neuroscienze? In fondo l’attività didattica, e quindi il fine di
ogni insegnamento scolastico, non è quello di facilitare l’apprendimento
del bambino? Si tratta, pur sempre, di dare informazioni che restino
nella mente e che incidano sugli atti concreti che si compiono nel corso
dell’esistenza: capire qualcosa, riconoscere situazioni d’esperienza
analoghe, decifrare il linguaggio del quale facciamo costantemente uso,
imparare ad esprimersi in forma scritta e in forma orale, padroneggiare
lo spazio, assumere e rappresentare numericamente la durata del tempo,
apprezzare e godere del bello che c’è nelle cose e nell’opera dell’uomo,
aprire lo sguardo sul passato per recuperare la memoria, e, infine,
andare oltre il contingente e il provvisorio per proiettarsi nel cielo
alla ricerca di una ragione di senso. Così è d’obbligo la conoscenza
dei meccanismi neuronali che presiedono ad ogni situazione di
apprendimento, addirittura condividendo con la Montessori che gli organi
di senso, “le porte dell’anima”, scaricano, anche attraverso vere e
proprie correnti elettriche, la percezione degli oggetti e delle persone
con i quali ci relazioniamo, sul cervello, vera e propria, “scatola
magica”o, come la definisce Monod, “l’altra frontiera”.
Di
qui, dunque, gli argomenti da recuperare e consegnare agli studiosi
delle scienze dell’educazione ( la pedagogia, la didattica, la
psicologia, la filosofia, la sociologia, l’antropologia), giusto per
citare quelle per così dire “classiche”, in modo da privilegiare le
indicazioni che si possono ricavare dalle scienze neurobiopsicologiche,
capaci di fondare, o meglio di arricchire, lo spazio aperto dalle
ricerche di S. Freud e da completarle con quello che la “biologia della
mente” può oggi suggerire al fine di comprendere la vera natura
dell’uomo, i suoi misteri profondi, i significati più propri da
attribuire a parole d’uso comune, anche nel mondo umanistico e
letterario, come amore, anima, coscienza e, soprattutto, mente.
L’illusione derivata dalla “morte della pedagogia"
che non aveva trovato più accoglienza nella cultura della comunità dei
viventi, e meno che mai nei media più comuni, in fondo segnala il
bisogno di un recupero, l’incongruenza di un silenzio che non poteva
certamente giovare alle generazioni che crescono e che avanzano ad ogni
istante domande di senso e di cultura.
Così,
sollecitato soprattutto dalla riflessione sull’opera e sugli scritti di
alcuni tra i più recenti Nobel, in primo luogo Eric Kandel, ma anche
“l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, Francis Crick, è giunto
il momento di chiarire il portato della memoria e l’autenticità
dell’apprendimento che stanno alla base, ovviamente, di ogni processo di
crescita e di sviluppo della persona umana.
La
mente non è una declinazione verbale, ma un sostantivo vero e proprio.
Come a dire che il cervello è il cervello e la mente è, appunto, la
mente, cioè una entità indecifrabile e bellissima, addirittura
misteriosa, perfino potente. Nessuno nega l’esistenza di “stati mentali”
che danno conto e coscienza di sé e degli altri, come anche danno
consapevolezza del passato e del futuro. Sono prodotti, i più elevati,
della mente umana e dipendono da un gioco molecolare. Ma c’è da
chiedersi: se vogliamo indagare e scoprire la natura e i segreti di
questi stati mentali dobbiamo, all’origine, dare conto della natura e
delle funzioni del cervello, perché è lui “il pilota automatico”, quello
che i behavioristi non potevano accertare perché non osservabile. Lo
scrive Kandel: “Skinner e i behavioristi si concentrarono in maniera
esclusiva sul comportamento osservabile ed esclusero dal loro lavoro
ogni riferimento alla vita mentale e ogni sforzo mirato
all’introspezione, essendo questi elementi che non potevano essere
osservati, misurati o impiegati allo scopo di sviluppare regole generali
sul modo in cui le persone si comportano”.
La
“biologia della mente”, proposta da Kandel, faciliterà la risposta più
propria. Eccola: “La maggior parte di noi accetta tranquillamente gli
esisti della ricerca scientifica sperimentale quando valgono per altre
parti del corpo: ad esempio, siamo del tutto a nostro agio con il fatto
che il cuore non è la sede delle emozioni, ma un organo muscolare che
pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Eppure l’idea che la
mente e la spiritualità umane si originino in un organo fisico, il
cervello, per alcuni suona nuova e allarmante. Costoro trovano difficile
credere che il cervello sia un organo computazionale che elabora
informazioni, la cui meravigliosa potenza non deriva dal suo mistero,
bensì dalla sua complessità: dall’enorme quantità, varietà e interazione
delle sue cellule nervose”.
Cervello
e mente sono la stessa cosa. La scienza della mente, fin dagli anni
Settanta, fusa con la neuroscienza, appunto la scienza del cervello, ha
risolto il dilemma.
Biologia
della mente, scienze cognitive, neuropsicologia e neuroscienze sapranno
allora dire qualcosa sulla natura dell’apprendimento esplicito che
richiede una partecipazione cosciente e che consiste nell’acquisizione
di informazioni su persone luoghi e cose, e, naturalmente, sulla memoria
in quanto immagazzinamento delle medesime informazioni, a breve o lungo
termine.
La scommessa sulla mente
Una
“biologia della mente”, qual è proposta dal Kandel, può aiutarci a
capirne la natura e la funzione nell’economia intera dell’attività
neuronale. Ciò è stato possibile certamente per la fusione della scienza
della mente con la scienze del cervello, tanto che la tecnologia dell’imaging cerebrale
ha autorizzato i neuro scienziati di entrare dentro al cervello, come
hanno fatto Turnbull e Solms per rilevare quello che succede quando si
esaminano gli stati mentali come il percepire un’azione visiva, pensare
ad un percorso spaziale o avviare un’azione volontaria. “L’immagine
cerebrale opera per mezzo di indici che misurano l’attività neurale: la
tomografia a emissione di positroni (PET) rileva il consumo di energia
del cervello e l’imaging a risonanza magnetica funzionale (fRMI) ne rileva l’utilizzo di ossigeno”.
Ma anche le neuroscienze cognitive con la biologia molecolare hanno
contribuito a definire una “biologia molecolare delle attività
cognitive” che facilita conoscenza di processi mentali come il modo di
pensare, di provare sensazioni, di apprendere e ricordare. Tutto ciò
consente di riaffermare l’evoluzione dei processi mentali che la
biologia della mente alla fine riuscirà a spiegare per comprendere i
passaggi tra le cellule nervose che comunicano fra loro.
Quello
che sicura-mente dobbiamo rilevare è che l’insieme della psicologia
cognitiva, della biologia molecolare, della neuroscienza, della biologia
della mente, della filosofia della mente forniscono risposte alle
domande che emergono dalla lettura della memoria che ha la forza
agglomerante delle esperienze che costellano la nostra esistenza
quotidiana, senza la quale la frammentazione d’esse non aiuterebbe a
dare conto dei momenti che viviamo e meno che mai dei “viaggi mentali”
nel tempo che è necessario ri-costruire con la mente per arricchire il
sapere esperienziale. “L’evoluzione culturale, una modalità di
adattamento non biologica, agisce in parallelo con l’evoluzione
biologica come mezzo per trasmettere la conoscenza del passato e i
comportamenti adattivi attraverso le generazioni. Tutti i conseguimenti
dell’umanità, dall’antichità fino ad oggi, sono i prodotti di una
memoria condivisa, accumulata nel corso dei secoli per il tramite sia di
registrazioni scritte sia di una tradizione orale salvaguardata con
cura: Come la memoria condivisa arricchisce le nostre vite a livello
individuale, così la perdita di memoria distrugge il nostro senso del
sé. Recide la connessione con il passato e con le altre persone, e può
manifestarsi durante lo sviluppo infantile oppure colpire un adulto in
età matura”.
In
una condizione come questa, inaugurata dalla stretta relazione tra il
cervello e la mente, diviene indispensabile conoscere come la mente
funziona, perché così si conoscono anche le strategie alle quali fa
ricorso il cervello. Sono strategie, però, che esigono l’ascolto, cioè
esigono vedere e interpretare quello che i segnali elettrici che sono
alla base della vita mentale dicono. Difatti i segnali della mente sono
segnali elettrici ossia i mezzi attraverso i quali le cellule nervose,
che sono le unità fondamentali del cervello, comunicano anche a grande
distanza. Kandel riferisce di avere osservato queste forme di
comunicazione nel laboratorio di Grundfest, tanto che le cellule nervose
e le cellule muscolari generano un flusso di corrente elettrica che
ogni tanto anche il nostro corpo percepisce con forme di formicolio. Si
tratta pur sempre di messaggi che servono a “portare informazioni
sensoriali relative al mondo esterno nel midollo spinale e nel cervello e
per trasmettere comandi di azioni dal cervello e dal midollo spinale ai
muscoli”.
Queste
complesse azioni danno ragione via via delle scoperte selezionate dai
neuro scienziati quando pongono, anche mediante i neuroni mirror,
alla base del movimento il funzionamento del cervello. Non è certamente
la prima volta che abbiamo a che fare con questi meccanismi affidandomi
agli studi del Nobel Kandel, perché il fascino che è capace di emanare
questa materia è straordinario, come straordinario è pensare di
spiegarsi processi di conoscenza e di apprendimento.
Dal fascino, dunque, alla scommessa. E’ vero che le scoperte che ogni giorno vengono compiute da equipe di
ricercatori aiutano a comprendere le ragioni di certi meccanismi
comportamentali, ma è anche vero che i margini di approssimazione con i
quali certe conquiste vanno accreditate spingono a scommettere sul
futuro che non è affatto lineare, ma procede, come ha ricordato Popper,
per confutazioni e prove, tanto che “la forza più grande del metodo
scientifico è la sua capacità di confutare un’ipotesi”.
E questo, ricorda Kandel, quando la disperazione del grande Eccles
aveva raggiunto l’apice davanti agli insuccessi nel laboratorio della
teoria elettrica della trasmissione sinaptica. Confessa Eccles: “Ho
imparato da Popper ciò che per me è l’essenza dell’indagine scientifica:
come essere speculativi e ricchi di immaginazione nel creare ipotesi, e
poi sfidarle con il massimo del rigore, sia utilizzando tutta la
conoscenza disponibile sia allestendo la più minuziosa offensiva sperimentale. Di fatto ho appreso da lui anche a rallegrarsi per la confutazione di un’ipotesi tanto amata, perché anche questa è una conquista scientifica e perché molto è stato imparato per mezzo di quella confutazione”.
Di
qui bisogna tornare all’idea della scommessa, che potrà essere vincente
qualora la serietà del lavoro, l’impegno profuso e la documentazione
raccolta confermeranno le ipotesi, elaborate sul piano sperimentale. Se
il tema è molto complesso, il gioco diventa sempre più affascinante e
ricco di prospettive.
Nessun commento:
Posta un commento