lunedì 14 settembre 2020

Emozioni Emozioni Emozioni



 Quarto capitolo  di "Metodo Indicativo educazione emozionale scuole pubbliche "di Adriana Rumbolo

4. Emozioni! Emozioni! Emozioni!



Siamo finiti così, nel bel mezzo di una rivoluzione, nel corso della quale i confini fra materie rigidamente scolastiche e la moda, la musica, lo sport, l'arte, il trucco, tanti aspetti sociali ecc... si sono disciolti per fare posto alla più vasta interdisciplinarità unita proprio dalle emozioni .

Che accadesse nella scuola era veramente un sogno: i cervelli si sgranchivano dopo anni di separazioni e divisioni che avevano arrestato le potenzialità cognitive-emotive.

Il dialogo che ne è seguito è stato travolgente

Sembrava non aspettassero altro!

La maggior parte dei ragazzi, sperimentava per la prima volta il relazionare: quasi nessuno ci era stato abituato né in famiglia, né a scuola.

Era arrivato il momento di parlare specificatamente delle emozioni primarie: della paura, della collera, della tristezza, della gioia del disgusto.

Quando ho letto gli ultimi e gravi episodi di violenza fra gli adolescenti, mi sono chiesta se i ragazzi coinvolti avessero avuto un'occasione favorevole per conoscere meglio le proprie emozioni, comunicare i propri disagi e saper formulare una chiara richiesta d'aiuto.

Non è facile saper chiedere aiuto.

In un incontro, una studentessa di dodici anni, mentre si parlava dell'attività del cervello durante il sonno, all'improvviso: “Ho sognato che ero in difficoltà, angosciata. Volevo chiedere aiuto, ma la voce non usciva”. I sentimenti e le emozioni non vanno tenuti in silenzio o rimossi, perché allora sì che la loro azione potrebbe diventare molto pericolosa.

Quando li rassicuravo tiravano unNegare le emozioni è inutile, resteranno nell'inconscio a fare danni.

Un bambino non nasce con la consapevolezza e la conoscenza dei sentimenti, del loro manifestarsi e spesso potrebbe fraintendere quel che vede , ma anche quel che prova.

In questi errori di interpretazione si annidano a volte problematiche destinate prima o poi a esplodere, anche violentemente, rendendo più difficile l'apprendimento a scuola, il rapporto con gli altri e acuendo la difficoltà a sopportare anche le più piccole frustrazioni quotidiane.

Alcuni ragazzi, sorpresi dalle maggiori conoscenze acquisite sulle proprie emozioni continuavano a chiedermi se tutti, ma tutti, tutti, le possedessero.

Una studentessa in disparte, mi chiese se ne poteva usare almeno una (soffriva di disordini alimentari, era la prima della classe). respiro di sollievo dicendo: “anche se ho dei brutti voti a scuola il mio cervello è a posto le mie risorse ci sono”.

Sembra una piccola cosa, ma a volte andare male a scuola può creare in uno studente, molta sfiducia nelle proprie capacità, e molta insicurezza.

Con la conoscenza delle proprie emozioni, molti stavano riacquistando la fiducia persa nelle loro possibilità e forse, chissà, con l'esperienza sarebbero stati in grado di usarle in modo più produttivo, rafforzando notevolmente la loro autostima e migliorando il rapporto con l'ambiente e con gli altri.

I ragazzi una mattina hanno scritto sulla lavagna: relazionare = esistere.

Giorgio Gaber cantava: Libertà è partecipazione.

Un'insegnante mi disse: “ora finalmente ho una classe, conosco i miei ragazzi!”.

È stato uno dei complimenti più belli.

La scuola stava offrendo un'esperienza speciale, perché non avevo solo la conferma che, un ragazzo o sarebbe più esatto molti ragazzi, avevano avviato un processo di riconoscimento delle proprie emozioni e dei sentimenti alla luce delle loro esperienze.

Quando si usa il termine emozione, lo si fa nel senso più ampio del termine, includendo non solo le esperienze familiari all'uomo come ira, paura, tristezza, oltre che gioia, soddisfazione e coraggio, ma anche sensazioni basilari come piacere e dolore, nonché le “pulsioni istintuali” studiate dagli psicologi sperimentali, come fame e sete.

Il professor Robert Plutchik, un professore di psicologia all'università di Hofstra, ha proposto una classificazione fondata su otto emozioni primarie - tristezza, disgusto, ira, anticipazione, gioia, accettazione, paura, e sorpresa - che come i colori primari si possono mescolare ad altre emozioni secondarie: per

esempio, paura + sorpresa = allarme, gioia + paura = senso di colpa, e così via.

Che la classificazione di Plutchik sia confermata o no da ulteriori studi, l'idea che certe emozioni possono mescolarsi per produrne altre è interessante e suggerisce che, quando si prendono in considerazione altri fattori come l'intensità e la durata dell'emozione, si possono distinguere facilmente centinaia di stati emotivi differenziati in modo quasi impercettibile.

La scuola offriva anche un approfondimento, una discussione di gruppo con il vantaggio di far conoscere anche l'interiorità altrui così simile alla propria.

Qualche studente non completamente soddisfatto dell'incontro di gruppo, ha espresso il desiderio di un colloquio individuale

.Gli è stato accordato nel modo più informale come se l'incontro privato fosse un prolungamento di quello avvenuto a scuola.

I ragazzi hanno apprezzato questa forma; anch'io non sono sempre favorevole allo sportello.

I dialoghi erano molto vivaci, ma fin dall'inizio li avevo invitati a non parlare, in classe, di persone non presenti o di episodi troppo privati.

Per conoscere meglio, per approfondire maggiormente le emozioni, abbiamo fatto in classe simulazioni teatrali, ascoltato insieme pezzi musicali di cui loro stessi sceglievano il brano più adatto a esprimere una particolare emozione.

Qualche studente ha realizzato dei cartelloni pubblicitari per sottolinearne la grande comunicazione.

Un giorno abbiamo insieme rappresentato in una prima fase le difficoltà che un soggetto ha, quando non conosce le proprie emozioni e quindi non sa gestirle per raggiungere gli obiettivi affettivi, di lavoro, che gli stanno a cuore.

Mentre facevamo questo uno studente è intervenuto dicendo: “non gli rimane che vendersi”. Aveva capito perfettamente.

Nella seconda fase abbiamo ipotizzato che un soggetto non abituato a relazionare, per realizzarsi serenamente negli affetti e nel lavoro, cerca delle stampelle in una condizione di dipendenza affettiva rischiando così di vivere una vita senza una sua effettiva partecipazione e con gravi disagi psicologici.

Nella terza fase finalmente con il soggetto che ha maggior conoscenza del proprio patrimonio emozionale, si è potuta usare l'espressione “trattare alla pari senza un concetto di inferiorità rispetto ad altre persone”, come ha scritto una ragazza di 14 anni.

Avendo ormai i ragazzi capito quanto fosse importante il patrimonio emozionale ho detto loro che era altrettanto importante imparare a difenderlo, soprattutto da aggressioni di tipo psicologico.

Molti pensa no che gli altri siano sempre più forti, più bravi e che possano disporre di loro come meglio credono.

Questo accade spesso perché i nostri bambini sono più abituati a un tipo di educazione invasiva piuttosto che a un modello relazionale.

Dopo questo mio intervento una studentessa di 14 anni ha scritto: “ogni persona ha un suo spazio psicologico il quale non va violato senza il permesso accordato dalla persona in questione. Se questo spazio viene violato può creare nel soggetto una serie di complessi come quelli che si possono creare quando c'è un concetto di inferiorità in confronto ad altre persone”.

Io non avevo usato la parola complesso né il verbo violare, ma non avrei saputo spiegarmi meglio.

Con adolescenti di 12 anni, per spiegare quanto fosse importante tutelare il proprio spazio psicologico e creare così anticorpi contro le aggressioni di tipo emozionale, ho inventato il gioco del “toc-toc”.

Uno studente si avvicinava ad un altro e mimava il gesto di bussare.

Il soggetto che riceveva questo messaggio avrebbe dovuto abituarsi ad osservare chi bussava, a considerare la situazione ambientale e possibilmente organizzare al meglio la sua risposta. Questa è un abitudine di cui i ragazzi mancano. Sono abituati che chi gli dice di fare o non fare una cosa, non bussa, non permette loro di riflettere e soprattutto blocca la risposta non ascoltandoli.

L'ho fatto con ragazzi di 12 anni perché alcune insegnanti delle scuole medie, dopo aver conosciuto la natura della mia esperienza, hanno

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