Quelli troppo "connessi"' che dormono poco e non fanno sport
(ANSA) - ROMA, 4 FEB - C'è un gruppo "invisibile" di
adolescenti a forte rischio di sviluppare malattie mentali: sono quelli
che usano molto i social network, dormono poco e fanno scarsa attività
fisica. Ad evidenziarlo uno studio internazionale guidato dal Karolinska
Institutet in Svezia, pubblicato sulla rivista World Psychiatry.
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Gli studiosi hanno esaminato circa 12mila adolescenti europei, tutti di età compresa tra i 14 e i 16 anni, sottoponendoli a dei questionari per verificare se vi fossero fattori di rischio rispetto alle malattie mentali. Dopo aver risposto alle domande i ragazzi sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo che secondo i parametri impostati e' stato definito ad alto rischio di sviluppare dei disturbi, il secondo che presentava un rischio meno elevato e il terzo che e' stato denominato degli "invisibili", rappresentato appunto da coloro che usavano molto i social network, dormivano poco e non si dedicavano abbastanza all'attività fisica, tutti comportamenti abitualmente non collegati al rischio di sviluppare malattie mentali, ma che solo in apparenza non devono destare preoccupazione. Gli adolescenti appartenenti al gruppo degli "invisibili", alla pari dei loro coetanei classificati come ad alto rischio di sviluppare malattie mentali, hanno infatti dichiarato nei questionari di avere spesso pensieri suicidi e di soffrire di ansia e depressione. "Il 30 per cento di loro presentava gravi sintomi psicopatologici, più difficili da identificare da parte di insegnanti e genitori perché non direttamente collegati a comportamenti considerati a rischio, come abuso di alcol o droghe: era questo a differenziali dal gruppo di ragazzi inseriti nel gruppo a rischio" spiega Vladimir Carli primo autore della ricerca(Ansa)..
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Gli studiosi hanno esaminato circa 12mila adolescenti europei, tutti di età compresa tra i 14 e i 16 anni, sottoponendoli a dei questionari per verificare se vi fossero fattori di rischio rispetto alle malattie mentali. Dopo aver risposto alle domande i ragazzi sono stati suddivisi in tre gruppi: il primo che secondo i parametri impostati e' stato definito ad alto rischio di sviluppare dei disturbi, il secondo che presentava un rischio meno elevato e il terzo che e' stato denominato degli "invisibili", rappresentato appunto da coloro che usavano molto i social network, dormivano poco e non si dedicavano abbastanza all'attività fisica, tutti comportamenti abitualmente non collegati al rischio di sviluppare malattie mentali, ma che solo in apparenza non devono destare preoccupazione. Gli adolescenti appartenenti al gruppo degli "invisibili", alla pari dei loro coetanei classificati come ad alto rischio di sviluppare malattie mentali, hanno infatti dichiarato nei questionari di avere spesso pensieri suicidi e di soffrire di ansia e depressione. "Il 30 per cento di loro presentava gravi sintomi psicopatologici, più difficili da identificare da parte di insegnanti e genitori perché non direttamente collegati a comportamenti considerati a rischio, come abuso di alcol o droghe: era questo a differenziali dal gruppo di ragazzi inseriti nel gruppo a rischio" spiega Vladimir Carli primo autore della ricerca(Ansa)..
Dall'articolo:"Il cervello nella scuola" dott.ssa Adriana Rumbolo
"Una classe aspetta pronta alla difesa di immagine: perché questi incontri? Non siamo mica matti! Noi non abbiamo problemi!
Di colpo la novità: non sarebbero stati sottoposti a test, né osservati, giudicati, catalogati, ma gli sarebbe stato offerto un mare di informazioni “scientifiche” sul cervello, dove ognuno avrebbe potuto attingere a seconda dei propri bisogni, dei dubbi da chiarire, delle curiosità a cui rispondere e con il diritto alla parola.
Sì, gli è stato anche detto che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto delle regole di una buona convivenza: l’ hanno trovato un patto accettabile.
E la storia del cervello è iniziata: interessante, veloce, con precisi riferimenti alle funzioni che svolgeva via via che proseguiva nel suo percorso antropologico. (La teoria dei tre cervelli di Paul MacLean: il cervello rettile, emotivo, neocorteccia o cervello pensante).
Un documentario sull’evoluzione umana, divulgato in televisione da Piero Angela, racconta quando l’ uomo pianse per la prima volta alla morte della compagna.
Forse è stato il “vagito” del cervello emotivo, oppure no, ma è stato bello immaginarlo.
I ragazzi stentano a credere che le loro emozioni, a cui non attribuivano né un’esistenza né un nome, abbiano sede soprattutto nel cervello e che tutti le abbiano.
scatti improvvisi di rabbia, entusiasmo ingestibile, timidezza insuperabile, paure, desideri "tutto e "Ah! Si chiamano emozioni!" quelle reazioni a volte chiare, a volte confuse, a volte incontrollabili: subito", aggressività esplosiva che spaventa e il bisogno sempre e comunque di comunicare.
… E le emozioni, come si mostrano?
Scrive Damasio: "Le emozioni usano il corpo come teatro…".
Per circa 10 anni e con 1300 studenti da 12 a 16 anni con un gruppetto di insegnanti iniziammo nella scuola pubblica una meravigliosa esperienza consentita dalle conoscenze del cervello, per la tecnologia
La risposta di chi si occupava della scuola in generale a Firenze fu:"Ma perchè volete parlare del cervello?
"Una classe aspetta pronta alla difesa di immagine: perché questi incontri? Non siamo mica matti! Noi non abbiamo problemi!
Di colpo la novità: non sarebbero stati sottoposti a test, né osservati, giudicati, catalogati, ma gli sarebbe stato offerto un mare di informazioni “scientifiche” sul cervello, dove ognuno avrebbe potuto attingere a seconda dei propri bisogni, dei dubbi da chiarire, delle curiosità a cui rispondere e con il diritto alla parola.
Sì, gli è stato anche detto che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto delle regole di una buona convivenza: l’ hanno trovato un patto accettabile.
E la storia del cervello è iniziata: interessante, veloce, con precisi riferimenti alle funzioni che svolgeva via via che proseguiva nel suo percorso antropologico. (La teoria dei tre cervelli di Paul MacLean: il cervello rettile, emotivo, neocorteccia o cervello pensante).
Un documentario sull’evoluzione umana, divulgato in televisione da Piero Angela, racconta quando l’ uomo pianse per la prima volta alla morte della compagna.
Forse è stato il “vagito” del cervello emotivo, oppure no, ma è stato bello immaginarlo.
I ragazzi stentano a credere che le loro emozioni, a cui non attribuivano né un’esistenza né un nome, abbiano sede soprattutto nel cervello e che tutti le abbiano.
scatti improvvisi di rabbia, entusiasmo ingestibile, timidezza insuperabile, paure, desideri "tutto e "Ah! Si chiamano emozioni!" quelle reazioni a volte chiare, a volte confuse, a volte incontrollabili: subito", aggressività esplosiva che spaventa e il bisogno sempre e comunque di comunicare.
… E le emozioni, come si mostrano?
Scrive Damasio: "Le emozioni usano il corpo come teatro…".
Per circa 10 anni e con 1300 studenti da 12 a 16 anni con un gruppetto di insegnanti iniziammo nella scuola pubblica una meravigliosa esperienza consentita dalle conoscenze del cervello, per la tecnologia
La risposta di chi si occupava della scuola in generale a Firenze fu:"Ma perchè volete parlare del cervello?
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