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. Sostiene piuttosto che una parte del cervello non è capace di farlo, mentre un'altra parte si è dimostrata finora prontissima ad adeguarsi alla velocità richiesta. "Di fatto abbiamo due sistemi che risultano perfettamente integrati e che lavorano in assoluta armonia fra di loro, pur essendo diversissimi nelle loro costanti temporali. Il primo è il sistema emozionale, in pratica il sistema regolatore di base che lavora molto lentamente, con scatti di un secondo o anche più. E poi c'è il sistema cognitivo, decisamente più veloce per via del particolare sistema di cablaggio e anche a causa della massiccia presenza di fibre completamente mielinizzate, quindi in grado di lavorare a una velocità maggiore. Ecco perché riusciamo a fare molti ragionamenti, a riconoscere molti oggetti e a ricordarne i nomi in pochi centesimi di secondo. Pare addirittura che abbiamo imparato a ottimizzare questi tempi, lavorando a velocità sempre maggiori. È indubbio, infatti, che le persone più giovani siano oggi in grado di lavorare con tempi decisamente più ridotti". Per convincersi di questo basta osservare un ragazzino impegnato a inviare contemporaneamente 15 messaggi a una chat; con un adeguato training, alcune funzioni cerebrali sono in grado di raggiungere velocità stupefacenti. Altre funzioni cerebrali, al contrario, potrebbero avere un tetto massimo fisso. Il pericolo della neutralità emotiva "Non ci sono prove di nessun tipo che il sistema emozionale stia aumentando la propria velocità", precisa Damasio. "Di fatto, credo sia abbastanza ovvio che il sistema emozionale, inteso come sistema regolatore del corpo, sia destinato a proseguire con le stesse, lente costanti temporali. Perché non dobbiamo dimenticare il limite delle costanti, determinato dal fatto che le fibre non sono mielinizzate. Ecco perché la conduzione è così lenta". In un certo senso, quindi, si tratta di un problema tecnico. "Il sistema che costruisce i marcatori somatici, quello stesso sistema che traduce il flusso di coscienza in valori - funziona molto più lentamente rispetto al sistema che fornisce i dati da tradurre. Il risultato non mette di certo in pericolo la nostra macchina cognitiva. Di fatto siamo in grado di elaborare tutti quei dati, e probabilmente anche molti di più. Il pericolo viene dall'eventuale calo del sistema emozionale. "L'immagine di un evento o di una persona può apparire in un flash, ma occorrono alcuni secondi per costruire una risposta emozionale", spiega Damasio. "Ecco perché potremo contare su sempre meno opportunità di avere marcatori somatici adeguati, e questo significa che un numero sempre crescente di eventi, particolarmente nei primi anni di vita, passeranno senza un base emozionale. Da questo consegue che dal punto di vista etico potremmo risultare meno radicati. E ritrovarci quindi in un mondo emotivamente neutro". La neutralità emotiva suona un po' come un'idea recuperata direttamente da un talk show, ma per Damasio si tratta di un concetto molto forte. Ha potuto vedere di persona i danni subiti da una persona quando i marcatori somatici non hanno avuto modo di formarsi. "Il rischio della neutralità emotiva diventa sempre maggiore man mano che aumenta la velocità cognitiva, ci saranno sempre più persone che dovranno affidarsi completamente al sistema cognitivo, senza ricorrere ai propri ricordi emotivi, per stabilire ciò che è bene e ciò che è male". Nel caso delle prossime generazioni, il rischio della società che marcia a tutta velocità non consiste nel fatto che si ritroveranno sovraccaricate di dati. Il problema è che diventeranno come quei pazienti che Damasio ha iniziato a seguire anni fa nello Iowa: brillanti a tutti i test di intelligenza ma alla deriva dal punto di vista etico. "Si potrà parlare loro del bene e del male", conclude con un sorriso triste, "ma per loro il bene e il male non saranno gli stessi di cui parliamo noi".
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