Prefazione
Ho
gettato il “sassolino della scienza” nello stagno degli
adolescenti (12/16 anni) in alcune scuole pubbliche del comune e
della provincia di Firenze.
I
cerchi di ritorno fitti, fitti hanno cancellato la stagno.
Sulle
informazioni che fornivo sul cervello, in particolare sul cervello
emotivo si è velocemente acceso un dialogo intenso, vivace che
spaziava libero nella conoscenza e che mi orientava nel percorso di
un'esperienza, forse unica in Italia.
Per
rispondere a tante domande ho dovuto coinvolgere anche discipline che
non mi sono proprie.
Non
vorrei avere esagerato.
Mi
auguro che quest'esperienza dai risultati significativi, fatta con i
ragazzi, nel luogo più pertinente, la scuola, venga portata avanti
da un gruppo costituito non solo da pedagogisti, psicologi, ma anche
da medici fra cui un andrologo.
L'ho
chiesto anni fa, ma i tempi non erano maturi, ora spero lo siano.
Per
un anno ho parlato con gli studenti anche della relazionalità
nell'educazione sessuale e i ragazzi si erano molto interessati, ma
la scuola mi fece sapere di lasciare perdere l'argomento: non so
ancora perché, constatato il successo.
Tre
parole non ho trovato spesso nel lungo dialogo di dieci anni, con gli
adolescenti: Desiderio, Regole, Grazie.
Spero
di aver rimesso in discussione il percorso educativo, nei soggetti in
crescita, delle emozioni e di conseguenza la possibile prevenzione di
varie espressioni di disagio che spesso e sempre più avvicinano i
nostri ragazzi a scorciatoie facili e facilmente disponibili: alcool,
droga, criminalità, ecc.
Alcuni
studenti di una seconda media mi hanno mandato dei messaggi per
aiutarmi in questa prefazione:
«È
stato molto interessante perché mi hai insegnato come può essere la
vita. “Emozioni a Terra del Sole”, un libro molto bello, ci ha
raccontato il periodo più creativo della tua vita. Ogni giorno penso
a quello che mi potrebbe accadere a scuola, ma dimentico una cosa
sola, che devo assolutamente portare con me l'intelligenza e non solo
quello, ma anche i miei sentimenti che negli ultimi giorni mi hanno
fatto vivere come una matricola o meglio e più esplicitamente come
un disgraziato. Nei giorni che Adriana Rumbolo è venuta mi sono
sentito un po' tranquillo. Con lei abbiamo fatto delle attività sui
comportamenti di tutti i giorni. Adriana ci diceva e ci spiegava che
le emozioni che noi viviamo sono tante e fanno modificare il nostro
cervello (12 anni, M)»
«Incontrarti.
Nei tuoi incontri ho imparato molte più cose del cervello, su come
funziona, a cosa serve, come agisce, quali parti del corpo fa
funzionare, come si modifica quando parli, ascolti, quali emozioni ti
fa provare. (12 anni, M)»
1. Averlo
saputo!
Tutto
è cominciato in una tranquilla mattina di novembre. Una classe
aspetta pronta alla difesa di immagine: perché questi incontri? Non
siamo mica matti! Noi non abbiamo problemi!
Di
colpo la novità: non sarebbero stati sottoposti a test, né
osservati, giudicati, catalogati, ma gli sarebbe stato offerto un
mare di informazioni “scientifiche” sul cervello, dove ognuno
avrebbe potuto attingere a seconda dei bisogni, dei dubbi da
chiarire, delle curiosità a cui rispondere e con il diritto alla
parola.
Si
gli è stato anche detto che tutto sarebbe avvenuto nel rispetto
delle regole di una buona convivenza: l'hanno trovato un patto
accettabile.
Sono
sorpresi, ma l'argomento sconosciuto, la novità di poter parlare e
di essere ascoltati li fa rilassare.
Mentre
parlo incrocio le dita e mi auguro che almeno una parte di questi
ragazzi a trenta, a quaranta, a cinquanta anni non dovrà dire con
rabbia, con disappunto: “averlo saputo!” dopo aver vissuto,
subendole, situazioni non consapevoli e dolorose.
Ho
scelto di dialogare con adolescenti di dodici/sedici anni, non perché
ritenga che fin dalla nascita non sia importantissimo relazionare
(unico mezzo per cominciare a costruire buona autostima), ma poiché
siamo ancora lontani dall'aver approfondito il percorso educativo
delle emozioni, mentre il tempo passa, non possiamo ignorare i disagi
e le richieste dei ragazzi.
Durante
la crescita, il mondo delle emozioni subisce molte aggressioni di
tipo relazionale in famiglia, a scuola, ad opera della politica dei
mercati e proprio per queste, nell'adolescenza o poco dopo, per la
grande energia dei cambiamenti sessuali, fisici, intellettuali,
emotivi tutti mischiati fra loro, potrebbero esplodere conflitti
tenuti, per lungo tempo, in sordina.
Quando
ho letto, nella riflessione di una studentessa di 15 anni: “una
delle paure più ricorrenti nei ragazzi e nelle ragazze della nostra
età è quella di non riuscire a sentirsi accettato dagli altri per
come sei veramente” ho pensato che queste paure non fossero
arrivate con l' adolescenza.
L'adolescenza
forse le aveva evidenziate e aggravate, ma sicuramente avevano radici
molto lontane nel tempo ed era un bene che la ragazza ne avesse
parlato.
I
ragazzi purtroppo non sono abituati ad essere ascoltati.
L'ascolto,
anche del silenzio, è già una conferma del nostro esistere, e non è
poco.
È
spontaneo associare l'adolescenza alla favola dei tre porcellini.
Quando
il lupo arriverà (il sesso temuto) correrà gravi pericoli il
porcellino che ha la casa di paglia; avrà più possibilità quello
con la casa di legno; potrà resistere il porcellino con la casa di
mattoni.
Negli
anni che precedono l' adolescenza i bambini spesso denunciano i loro
disagi di origine relazionale (enuresi, tics, encopresi,
tricotillomania, regressioni, onicofagia, aggressività, incubi) con
messaggi chiari e forti, ma il pregiudizio e la vergogna scolorano il
tutto nell'espressione “con il crescere migliorerà, aspettiamo”.
Poi
la famosa pausa di latenza rassicurerà molti. Si, tutto è stato
superato, non pensiamoci più.
Quando
arriverà l'adolescenza i disagi psicologici ritorneranno, più
forti, meno comprensibili e più incontrollabili.
E
di nuovo, il pregiudizio: “la colpevole è l'adolescenza”. Pochi
pensano che, come nella favola dei tre porcellini, non è tanto la
forza del lupo a distruggere le case e a metterli in pericolo, quanto
la precarietà delle case stesse, ovvero la fragilità di molti,
forse troppi bambini gravemente carenti di
autostima.
Per
questo è nato il mio programma “Prendi coscienza di te stesso”,
che introdotto dalla teoria di Pirandello, perché la scuola lo
accettasse più volentieri, voleva offrire ai ragazzi un dialogo per
la conoscenza e la gestione delle emozioni, dei sentimenti al
presente, ma con uno sguardo anche al passato.
I
ragazzi avrebbero potuto, piano piano, approfondire la loro
conoscenza fino a divenire “mediatori di se stessi”.
In
questo programma, ho evitato di proposito parole come patologico,
normale, non normale, matto, psicotico, schizofrenico ecc...
Pure
avendo come tema centrale le emozioni nella presentazione del
programma ho aggiunto titoli che prendendo spunto dal quotidiano
coinvolgessero tanti interessi della loro vita.
2. Nasce un
programma a
misura di
adolescente
“Prendi
coscienza di te stesso”
Così
è stato presentato ai dirigenti scolastici (96/97)
Nella
profondità originaria di tutte le creature umane, c'è un'energia
potenziale che non è ancora “qualche cosa”, che non è ancora
“vita” e tale non può essere se non assume una fisionomia
specifica, se cioè non discende in una “forma”.
Quando
però questa energia potenziale entra in una forma, allora restano
precluse tutte le altre “forme” a cui un essere umano potrebbe
aspirare.
La
vita per essere tale ha bisogno della “forma”, ma la forma la
limita e la soffoca .
Gli
uomini non sospettano l'esistenza di questa loro prigionia e
continuano a vivere tranquillamente.
Ma
vengono gli attimi della riflessione dovuti ad un incidente, ad un
motivo qualsiasi e in lontananza si avverte la presenza di una vita
diversa, non nostra, ma che avrebbe potuto essere nostra.
Allora
le cose di ogni giorno appaiono vuotate di ogni senso .
L'uomo
capisce di essere caduto nelle “forme” senza una sua effettiva
partecipazione.
I
costumi, le tradizioni, le abitudini, i pregiudizi, le leggi, le
convenzioni i pudori crollano uno ad uno: sono “forme”, quindi
ipocrisie, maschere che ci gravano intorno come tanti tentacoli.
Questa concezione di Pirandello, della vita, sconvolgente per il suo
contenuto di universale verità, ci sollecita a far si che i nostri
ragazzi approfondiscano la coscienza di sé e del mondo intorno,
prima di prendere decisioni importanti negli affetti e nel lavoro. È
vero che prima della vita scolastica i ragazzi hanno vissuto in seno
alla famiglia, dove sono maturate le prime e più
importanti
conoscenze. È all'infanzia, infatti, che spettano le “operazioni
più significative”.
È
vero che il nostro cervello è costituito da strutture fissate fin
dalla nascita o che maturano successivamente sotto la direzione di un
ingegnere genetico, ma è costituito anche da strutture aperte,
plastiche (neuroplasticità), che invece rispondono e si organizzano
sotto l'azione delle vicende personali e sociali.
La
vita insomma è garantita da meccanismi difensivi inscritti nel
codice genetico (il vivere), ma la qualità dipende, in gran parte,
dalle esperienze che non hanno nulla di deterministico (il come
vivere)."Vittorino Andreoli
Gli
scopi della scuola, in condizione di poterlo fare, dovrebbero essere
quelli di fornire agli studenti con il dialogo, informazioni
scientifiche, per conoscersi meglio, per avere maggiore fiducia in
sé, (autostima) e migliorare i rapporti con gli altri.
A
tal fine proporrei una serie di incontri con gli studenti, almeno
sei, ogni anno, della durata di un'ora e mezzo ciascuno, intervallati
da due o tre settimane, la mattina, sempre con la partecipazione di
un docente.
Titoli
degli incontri:
Piacersi
per piacere. Darsi e non sdarsi.
“Tutto
e subito”. Ma con il desiderio come la mettiamo? Agli animali in
pericolo la mimetizzazione, a noi la bugia. Il si e il no.
L'importanza
della risata.
LE
EMOZIONI - IL RELAZIONARE
L'ansia
e la paura dell'apprendimento.
Esplora,
conosci, crea La teoria dei sei cappelli (De Bono).
La
dipendenza affettiva e l'autonomia.
I
pregiudizi.
Le
aspettative.
Il
gruppo (aiuta, frena, condiziona). L'importanza del limite.
I
sensi di colpa.
Essere
e avere.
La
competizione.
La
famiglia
3.
I diretti
interlocutori sono
loro
Sono
entrata a scuola fra gli adolescenti: una massa colorata, vociante,
corpi dondolanti su zeppe altissime.
Gli
zaini rigonfi i capelli immobili e lucidi per il gel.
Si
sentivano le ultime musiche, i cellulari squillare e ho percepito in
loro il grande desiderio di emergere collettivo e confuso, ma forte
come l' odore del loro sudore o delle scarpe sportive appena tolte.
Poi
le voci si sono abbassate la grande massa si è rapidamente scomposta
e ricomposta in piccoli gruppi nelle aule.
Ora
sono tanti volti, tanti occhi in cui mille espressioni promettono
tanto, se riusciamo a ritrovarci a riconoscerci nella comunicazione.
E
dalla comunicazione si è partiti, ma prima era necessaria una breve
introduzione sulla storia del cervello che è iniziata interessante,
veloce, con precisi riferimenti alle funzioni che il cervello
svolgeva via, via che proseguiva nel suo percorso antropologico (La
teoria dei tre cervelli di Paul MacLean: il cervello rettile,
emotivo, neocorteccia o cervello pensante).
Un
documentario sull'evoluzione umana, divulgato in televisione da Piero
Angela, racconta quando l'uomo pianse per la prima volta alla morte
della compagna.
Forse
è stato il “vagito” del cervello emotivo, oppure no, ma è stato
bello immaginarlo.
E
poi la neocorteccia.
Ai
ragazzi è stata descritta come un casco, termine a loro familiare,
che avvolge il cervello con numerose e profonde pieghe e ha anche
questo compito meraviglioso: raccogliere tutte le nostre conoscenze,
le nostre esperienze.
Però
il cervello non può fissare tutti i dati che gli arrivano, sono
troppi.
La
memoria allora a seconda della qualità e della quantità emotiva del
dato in corso, tratterrà il ricordo per una manciata di secondi
(memoria sensoriale) o per una ventina di minuti (memoria breve) o
per tutta la vita (memoria a lungo termine): in questo modo si
formerà il nostro sapere.