lunedì 15 febbraio 2016

La musicoterapia e il parkinson



La musica è più potente di quel che si possa credere e non è soltanto uno svago o un modo per passare il tempo. La sua efficacia nel trattamento di alcuni disturbi è stata più volte oggetto di ricerche e, oggi, un nuovo studio suggerisce addirittura che la musica possa aiutare i pazienti colpiti da danni cerebrali a riprendere alcune facoltà intaccate come, per esempio, il parlare o il camminare.

Nello specifico, le canzoni aprono la via a nuovi percorsi cerebrali di linguaggio che eludono le aree del cervello danneggiate.
“Si è sempre pensato che la musica fosse qualcosa di superfluo, e non si capiva perché si è sviluppata dal punto di vista evolutivo – commenta a Discovey News, Michael De Georgia, Direttore del Centro di Musica e Medicina alla Case Western Reserve University, University Hospitals Case Medical Center di Cleveland – Negli ultimi 10 anni, abbiamo appena iniziato a capire in che modo sia ampio e diffuso l’effetto della musica in tutte le parti del cervello. Stiamo appena iniziando a capire come la musica possa essere potente. Non sappiamo quali sono i limiti”.

Ma gli effetti della musica sulle persone malate sono noti già da molto tempo. Una musicoterapista dell’Università del Wisconsin Eau Claire, dottoressa Anna Lee Rasar, ha ricordato come la musica delle Big Band avesse aiutato i veterani della Seconda Guerra Mondiale a riprendere le forze fino ad alzarsi e camminare di nuovo.
 Da allora gli studi si sono fatti più approfonditi, fino a comprendere come vi fosse uno schema coerente derivante dall’ascolto della musica. Detto schema mostra come un ritmo particolare possa stimolare la deambulazione nei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson, colpiti da ictus o altri danni al cervello.

Il ritmo delle note musicali permette alle persone di ritrovare un passo simmetrico e il senso dell’equilibrio. Tutto ciò avviene in modo che il segnale uditivo trasmesso dal battito ritmico sia interpretato dal cervello ed elaborato in modo da anticipare il tempo musicale e regolare i passi.

 Sebbene quanto avviene non sia del tutto chiaro, ciò che invece risulta chiaro è che la musica ha un effetto tangibile sul cervello.

Una delle ipotesi più accreditare è che le aree del cervello interessate dalla musica siano molte, a differenza di quelle del linguaggio che invece sono solo due. Creando nuovi percorsi neuronali, i pazienti, grazie alle canzoni e alle note musicali, possono ripescare dalla memoria parole già ascoltate e usate: in questo modo possono crearsi nuove connessioni per il linguaggio perduto.

Secondo la dottoressa Caterina Wan, neurologo alla Harvard Medical School, anche se gli studi sono solo all’inizio questa teoria ha molto senso, e lo ribadisce citando un proprio studio in cui si è mostrato come la musicoterapia abbia aiutato dei bambini autistici che non parlavo del tutto ad articolare parole e frasi in modo migliore.

 “Per quanto sia, vorrei dire che la musica è un mezzo potente, io penso sia importante per le persone, tanto da testarla rigorosamente per cercare di comprendere davvero quali siano i componenti che contribuiscono agli effetti”, conclude Wan.

Ecco dunque una serie di prove che possono fa cambiare idea a chi, fino a oggi, riteneva la musica soltanto un qualcosa atto a rallegrare momenti della giornata o come sottofondo alle diverse attività. Secondo questi ricercatori la musica è invece un potente mezzo da comprendere sempre più per poterlo sfruttare al meglio e ottenere grandi benefici sia psichici che fisici.

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